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Un piccolo saggio che mette in risalto un punto di vista non normalmente considerato. Tutti così attenti a voler raggiungere l'intelligenza, ma come può essere definita? Non siamo abbastanza intelligenti da sapere che cos'è! Lascia uno spiraglio che rimarrà aperto per anni e anni...
"Non siamo abbastanza intelligenti per sapere cosa sia l'intelligenza". Questa la folgorante tesi di questo breve e piacevole saggio. Molti credono che il mondo scientifico sia popolato da leggi paradigmatiche eterne e perfette: ebbene, il lavoro di Enzensberger aiuta a far capire che quello della scienza è invece un mondo fatto di ipotesi anche incerte e perfezionabili. La psicologia non ha ancora raggiunto un'idea univoca di cosa sia l'intelligenza, eppure, fin dagli inizi, l'uomo si è preoccupato di misurarla con una certa ossessione. Ma come si può misurare qualcosa se non si sa bene cosa sia? Nel saggio il lettore troverà una carrellata piuttosto completa di tutti i temi tipici della letteratura scientifica sull'argomento: dai pregiudizi linguistici sull'intelligenza e la stupidità, ai test sul quoziente intellettivo, al dibattito tra le influenze culturali e quelle genetiche fino al mito dell'intelligenza artificiale. Vengono attraversate le tappe dello sviluppo di questo concetto, anche storicamente, citando i primi test di intelligenza, senza tacere anche le implicazioni socio-economiche del "mercato dei testo sull'IQ", fino ad arrivare alla constatazione finale, chiave e nucleo del saggio. Tutto in sole 64 pagine. Il libro è scritto con uno stile molto leggero, accessibile davvero a tutti e, non essendo consigliato per specialisti che vogliono approfondire, si presta molto bene a un pubblico di neofiti che vogliono avere un primo approccio a questa tematica o anche a coloro che vantano qualche sporadica lettura sull'argomento, fino ad arrivare anche a essere adatto a uno studente in psicologia all'inizio del suo corso di studi. L'autore dosa molto bene chiarezza ed ironia e si esprime con un'ottima capacità di sintesi che gli permette di parlare di tutto senza essere troppo vago o poco chiaro. In generale è un libro da tener presente se siete appassionati alle funzioni psichiche.
Recensioni
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Questo volumetto di Hans Magnus Enzensberger è tanto rapido quanto folgorante nel muovere una critica severa agli "esperti", agli "specialisti", agli "studiosi" e ai "corifei della scienza", che, dalla fine dell'Ottocento, continuano a "illuminarci sulle prassi di misurazione dell'intelligenza". L'obiettivo appare coraggioso: sfatare il mito moderno dell'attendibilità dei test ed esautorare quel costume scientifico-positivista, culturale, sociale, didattico ed educativo che affida la conoscenza umana alla "quantificazione" e allo "screening" dell'intelligenza. L'edizione tedesca reca un sottotitolo che purtroppo la traduzione italiana non ha mantenuto: Ein Idiotenführer, ovvero "una guida idiota": la posizione di Enzensberger a proposito dei test d'intelligenza si fa dunque subito chiara.
L'autore affronta il problema scientifico, filosofico e squisitamente umano dell'intelligenza ricuperandone anzitutto l'originario significato filologico, ormai per lo più offuscato dai parametri psicometrici con cui si suole sondare l'intelligenza e procedere a una sua moderna attribuzione di senso. L'intelligenza evoca, per Enzensberger, quel nous greco che la vuole espressione di discernimento, saggezza, coscienza, ragione, spirito, pensiero, ma anche manifestazione di cuore, intenzione, volontà, disposizione d'animo, desiderio e opinione; quindi richiama quell'intelligentia latina in ragione della quale il termine indica pure comprensione, conoscenza specifica, sensibilità artistica e gusto, nonché il valore assegnatole durante la stagione cristiano-medievale di manifestazione suprema di un attributo divino. Durante il Seicento e il Settecento, in Inghilterra e in Germania, la parola viene poi ad assumere il valore di "intesa segreta" (di cui è esempio la Cia, Central Intelligence Agency), oppure acquisisce ulteriori semantiche nella Russia ottocentesca, dove si sviluppa quel ceto di "lavoratori dell'intelletto" noto come intelligencija.
Di questo ampio regesto semantico che la storia delle idee e della cultura assegna all'umana intelligenza rimane soltanto una traccia, che si fa ogni giorno più delebile. Sul finire dell'Ottocento e sul fare del Novecento, nuovi significati e nuovi valori vengono a denotare l'intelligenza. I fautori del moderno "vocabolario dell'intelligenza" sono anzitutto psicologi di impronta sperimentale, quindi sociologi e statistici. È il tramonto dell'incommensurabilità dell'intelligenza, l'eclissi della sua indecifrabilità, la dissoluzione del "labirinto", ed è progressivamente il trionfo delle supposte possibilità di misurazione, quantificazione, classificazione. Scale, parametri, modelli, analisi fattoriali e variabili stabiliscono il quoziente intellettivo (iq), inserendolo in (o espungendolo da) graduatorie o classifiche che sempre celano il rischio di un'impropria schedatura.
Come tutti i test, anche i test d'intelligenza consentono di addivenire a rapidi risultati, ma dichiara Enzensberger "i risultati di misurazione forniti da un test dell'iq non sono nient'altro che artifici statistici" finalizzati a perpetuare un "meccanismo di selezione sociale". Se molti sono ormai gli studi (di cui l'autore riporta alcuni esempi) che ne dimostrano l'intrinseca fallacia, ancora troppi sono sia i "testandi" che perseverano nel somministrare test in scuole, università e luoghi di lavoro, sia i "testati" che si disperano per non averli superati. Giancarla Sola
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