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Nel nome di ieri - Giuseppe Cristaldi - copertina
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Descrizione


Nel nome di ieri di Giuseppe Cristaldi, pubblicato da Besa nella collana Nadir, è vincitore della prima edizione del premio "Libro dell'anno" promosso dai Presidi del libro

Il destino che t'ingoia il futuro a un giro di curva, una lingua d'asfalto fatta di granuli di catrame che litigano fra loro e inciampano nei tuoi sogni, distruggendoli: nato in una pizzeria di provincia, fra temporali di farina e tovaglie scozzesi, l'amore di Claudia e Sciffì si addormenta per sempre sulla curva della morte fra Matino e Taviano, dove la ragazza perde la vita in un incidente stradale. Da quel momento, per Sciffì, la lotta contro il dolore diventerà lotta contro lo scorrere del tempo e il suo potere di cancellare le cose. Perché i ricordi stanno sulla rampa di un macello, come bovini sfiancati, e attendono giusto un oblio, un varco, per cadere nelle macine del tempo. Ma Sciffì quei ricordi li riprende ogni volta, li tira per i capelli, fuori dal macello, fuori dall'oblio, li ripesca da quelle tasche della memoria che hanno buchi nascosti, da cui tutto scivola via. Fino a che il recupero dei ricordi diventa lievito di una nuova sfida per il futuro. "Nel nome di ieri" narra di genti che stanno dietro le quinte della vita, con le mani terrose e il cuore di viticci, una storia di disperazioni raccontate attraverso l'umiltà e un minimalismo di atti, sillabe, silenzi, fin dentro l'anima profonda di un Salento chino sui filari come sulla propria nudità meridionale.
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Dettagli

2015
12 novembre 2015
181 p., Brossura
9788849710076

Voce della critica

Leggendo questo libro ho riscoperto il Sud, quel Mezzogiorno cui appartengo anch’io e di cui conosco i meccanismi sociali. Ci vuole tanto coraggio per raccontarli perché il risultato potrebbe essere la strenua difesa di una società facilmente condannabile e rea di rifiutare il progresso. Ma non è così.
Nel nome di ieri infatti non è “apologia al sud” ma “antropologia del meridione” e tra le sue pagine troviamo la dettagliata descrizione di dinamiche che solo chi abita le regioni estreme dell’Italia può capire subito. L’altra parte dell’Italia può comprenderle, ma ha anche il dovere di approfondirle.
Il libro di Cristaldi, autore di Parabita, in provincia di Lecce, narra dell’intensa storia d’amore tra Sciffì e Claudia. Due giovani in cerca di un futuro migliore, pieni di speranze e di volontà, pronti a investire tutte le proprie energie nell’apertura di una pizzeria. Ma è la morte improvvisa di Claudia in un incidente stradale a cambiare le intenzioni del giovane protagonista.
Con grande maestria l’autore pugliese ci porta in questo mondo rurale e in cerca di riscatto, tra contadini ancora legati alla sacralità della terra ma che guardano al futuro con paura e meraviglia, perché il nuovo spaventa e affascina sempre.
In mezzo a tutto ciò stanno Sciffì e Claudia, giovani dai sentimenti radicati che fanno i conti con il passato e il futuro. Sentono la forza di un vento nuovo e di un impellente bisogno di cambiamento che però non accettano del tutto, perché sanno che il Sud e la Puglia non hanno bisogno di rivoluzioni ma di rinnovare la propria tradizione.
Le loro convinzioni non sono il frutto di disquisizioni ma di esperienze vere. Gli stenti, il sacrificio, l’amore, la voglia di riscatto, sono le loro basi di partenza. Sono persone che non stanno ai vertici ma nel sottobosco, le cui azioni si perdono nelle nebbie dei giorni. Non generano clamore eppure agiscono, incidono, penetrano e si radicano saldamente nel contesto sociale nel quale scaturiscono.
Questa è la forza degli umili e degli ultimi di cui il Sud è pieno, su cui in altri ambienti si specula e di cui si parla solo per “sentito dire”. Di qui nasce la voglia di riscatto dei personaggi di Cristaldi, di giovani che lottano la vita e che accettano anche il destino. Sciffì infatti è vittima del fato e non del Mezzogiorno. Claudia a sua volta è l’immagine del sacrificio che ha finalità nobili, lungimiranti. La sua morte è “il lievito di una nuova sfida”, come ci suggerisce la quarta di copertina.
L’intero romanzo è una matassa di ricordi che si dipana. Sciffì ci guida, ci spiega tutto, non lascia nulla al caso. Ma soprattutto usa un linguaggio “popolare”, non volgare ma vero. E voglio proprio soffermarmi un attimo su questo aspetto, che per me è un tocco di classe che ricorda molto le operazioni linguistiche che amava fare Gadda.
Il dialetto dinamico, vibrante, colorato che dona ai personaggi un carattere forte, vero, con cui il lettore può confrontarsi. È come se fossimo lì insieme a Sciffì che ci racconta questa storia drammatica, ma con un lieto fine, con occhi malinconici e con un tenue sorriso sulle labbra. Quella smorfia tipicamente meridionale, di chi non vuole arrendersi al destino. Da leggere.

Recensione di Martino Ciano

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