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Che cosa aggiunge il paesaggio alla comprensione dell'abitare contemporaneo? Qual è il suo contributo alle riflessioni sul rapporto tra lo spazio e la società? Quella del paesaggio è ormai una presenza dilagante, rispetto alla quale è necessario assumere un punto di vista riflessivo e critico. Così è nel testo Nel paesaggio, attraversato da un'inquietudine circa l'utilità della nozione e il suo successo. Un successo travolgente: una sorta di diluvio di riferimenti, digressioni, progetti che nascono e trovano legittimazione, quasi in modo autoreferenziale, entro "l'affermazione consolatoria del buon equilibrio naturale".
Nel tentativo di dare risposta a dubbi e domande che il paesaggio ci pone, Sampieri organizza la sua riflessione critica a partire da due mosse che gli consentono di governare un campo di indagine vasto e dai confini sfumati. Riconoscendo, a metà degli anni ottanta, una soglia, un momento di cambiamento nel progetto dello spazio aperto, definisce una periodizzazione che considera gli ultimi venti anni come arco temporale di riferimento: una stagione tutt'altro che esaurita, ma che si offre ormai alla possibilità di uno sguardo critico. Una seconda mossa è fare riferimento a un discorso sul paesaggio: introdurre un costrutto analitico che permette di trattare letteratura ed esperienze progettuali europee e nordamericane degli ultimi venti anni. Quello che emerge è la forza straordinaria del paesaggio: la sua capacità di ridefinire campi istituzionali, profili professionali, indirizzi di ricerca, producendo sovente ibridi transdisciplinari difficili da maneggiare, il più famoso dei quali è dato dalla fortunata invenzione del Landscape Urbanism.
Ragioni del successo e ambiguità degli esiti sono affrontate da Sampieri attraverso la messa a fuoco di cinque quadri interpretativi (slittamenti, comunicazione, olismo, umanesimo, sospensione), che permettono all'autore di sostenere un'ipotesi di fondo: "Con il paesaggio si inauguri una stagione di quiete". Il paesaggio è il dispositivo attraverso il quale un discorso acquietato si confronta con la complessità della città contemporanea, ritrovando in categorie apparentemente desuete, come olismo, organicismo, culturalismo, nuove forme di legittimazione del progetto.
I cinque quadri scandiscono il ragionamento. La forza del paesaggio sta nella capacità di gestire l'eterogeneità attraverso una sorta di nebulosa avvolgente, capace di rendere inoffensiva la pluralità. Entro il paesaggio ognuno trova il suo posto. Progettisti e abitanti si trovano collocati entro il medesimo sfondo (slittamenti). La capacità comunicativa della nozione è garante di ampio consenso. Permette di parlare a un pubblico vasto. Può sembrare paradossale che a un concetto così ambiguo si attribuisca la capacità di ridefinire immaginari sociali. "Continuare a parlarne non aiuta a precisarla". Ma forse è proprio a questo carattere opaco che è da ricondurre l'efficacia (comunicazione). Il paesaggio riscrive la relazione tra spazio e società, prendendo le distanze dal progetto moderno, a partire da categorie anti-illuministe, come direbbe Sternhell, che rimandano a un'idea di comunità in una chiave vernacolare, particolarista, culturalista, cui si chiede di instaurare un legame con il territorio attraverso il paesaggio. Torna così a essere importante il senso di appartenenza, la necessità, quasi ossessiva, di riconoscere identità. Una visione organica della società contemporanea, multiculturalista ed eterogenea (olismo e umanesimo). È la natura al centro, e il progettista si pone in una posizione conciliante. Il progetto si allontana sempre più dall'architettura, intesa nel senso del progetto moderno, riformulandosi attorno all'obiettivo di mettere a punto un miglior funzionamento dello spazio attraverso evoluzioni naturali, processi ecologici. Un progetto mai pensato per lasciare un segno indelebile. La forma del territorio sembra dissolversi entro programmi e previsioni ottimistiche (sospensione).
Oggi siamo indubbiamente in un momento di grande difficoltà per il progetto della città contemporanea, eluso sempre più frequentemente entro i processi di trasformazione, che paiono peraltro irruenti e radicali quanto non lo sono stati da molto tempo. Entro questa difficoltà, riferirsi al paesaggio ha permesso di affrontare alcune importanti questioni, ma anche di eludere qualche problema. Ora, forse, questa via non è più sufficiente. È possibile cogliere molti indizi di un'insoddisfazione allargata entro la quale anche questo libro si pone. E, con essa, l'urgenza di tornare a interrogarsi sul ruolo intellettuale e tecnico del progettista e dei saperi ai quali fa riferimento. In altri termini, al rapporto fra tecnica e società che il dibattito sul paesaggio ha contribuito a riscrivere pesantemente negli ultimi venti anni. Diventa dunque importante interrogarsi su che cosa significhi oggi essere immersi nel paesaggio, rispetto a condizioni che sono cambiate e alla necessità di ripensare in esse il progetto urbanistico.
Daniela Ruggieri
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