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Nemesi - Philip Roth - copertina
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Nemesi - Philip Roth - copertina
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Descrizione


Quasi fosse una discesa nel proprio sottosuolo, Philip Roth racconta la giovinezza a Newark: il vigore dei vent’anni e l’immediata disillusione arrivata con la guerra e la malattia. Lo fa come sempre senza compiangere né se stesso né gli altri, anzi facendo emergere con forza tutte le contraddizioni dell’epoca e i suoi violenti tumulti.

Al centro di "Nemesi" c'è un animatore di campo giochi vigoroso e solerte, Bucky Cantor, lanciatore di giavellotto e sollevatore di pesi ventitreenne che si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi e vive con frustrazione l'esclusione dal teatro bellico a fianco dei suoi contemporanei a causa di un difetto della vista. Ponendo l'accento sui dilemmi che dilaniano Cantor e sulla realtà quotidiana cui l'animatore deve far fronte quando nell'estate del 1944 la polio comincia a falcidiare anche il suo campo giochi, Roth ci guida fra le più piccole sfaccettature di ogni emozione che una simile pestilenza può far scaturire: paura, panico, rabbia, confusione, sofferenza e dolore. Spostandosi fra le strade torride e maleodoranti di una Newark sotto assedio e l'immacolato campo estivo per ragazzi di Indian Hill, sulle vette delle Pocono Mountains - la cui "fresca aria montana era monda d'ogni sostanza inquinante" -, "Nemesi" mette in scena un uomo di polso e sani principi che, armato delle migliori intenzioni, combatte la sua guerra privata contro l'epidemia. Roth è di una tenera esattezza nel delineare ogni passaggio della discesa di Cantor verso la catastrofe, e non è meno esatto nel descrivere la condizione infantile.
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Dettagli

2011
1 febbraio 2011
183 p., Rilegato
9788806200947

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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Micael
Recensioni: 4/5

《Non metterti contro te stesso. Nel mondo c'è abbastanza crudeltà. Non peggiorare le cose facendo di te un caprio espiatorio》. Un Roth più delicato, equilibrato e passionale ci racconta la tragica epidemia di polio del 1944. A quei tempi si diceva che colpiva solo i bambini, ma anche Roosevelt ne fu partecipe. Ho notato che i campi estivi in America sono diventati un cliché per la formazione dei giovani. Dopo la tragica esperienza di #Auster con i personaggi di Archie e Artie in 4321, e quella tutta nostalgica di Franzen nel suo memoir ZonaDisagio qui vi troviamo Bucky Cantor, un ventitreenne solidissimo come personaggio, incalzato dalla sua storia personale di riscatto, vittima ed eroe del #selfmademan, perfettamente americano. Nemesi è un romanzo più costruito nella sua semplicità, raccontato in terza persona da uno dei ragazzi del campo estivo, una struttura congeniale che lascia intravedere pregi e difetti del protagonista, tra cui il suo continuo addossarsi colpe che non vanno addossate a nessuno, se non alla casualità.

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chiara
Recensioni: 5/5

Un grande romanzo, terribilmente attuale. La fragilità umana in tutta la sua forza. I legami tra uomini e donne sono l'unica fragilissima risorsa disponibile e quanto più la si utilizza tanto più si dovrà pagarne il prezzo. Soprattutto quando la natura diventa spietata, durante una terribile epidemia di polio. Roth giustifica qualsiasi tipo di dolore e sofferenza: persino la morte è nemesi. I cambi di atmosfera sono incredibili e la capacità di Roth nel renderli, magistrale.

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Alessandro
Recensioni: 5/5

non so che tipo di ateo sia Carlo (forse un ateo che non sa che esistono i non atei?), ma i discorsi sulla religione sono una delle cose che io, ateo, ho più apprezzato di questo libro, altro che illogici e puerili! sono quei discorsi che ogni ateo dovrebbe fare con i credenti di sua conoscenza per capire come è possibile che degli esseri dotati di raziocinio possano credere che il dio che ha creato la sofferenza sia un Dio di Amore! (anche) per il resto, bellissimo libro!

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Voce della critica

Philip Roth deve aver scoperto la fonte dell’eterna giovinezza letteraria in una stradina di Newark o nello stato del Connecticut, dove attualmente vive. Ogni suo nuovo romanzo sembra incorporare il fuoco sacro dello scrittore agli esordi. L’energia dirompente, l’ingenuità, una brezza di entusiasmo capace di spazzare via anche il più piccolo acaro di affaticamento. Allo stesso tempo, ne è prova anche l’ultimo romanzo, appare evidente l'unicità di Roth nel panorama internazionale, scrittore padrone della materia, demiurgo che toglie e restituisce, personificazione della “giustizia distributiva”, come appunto la dea Nemesi.

Nell'estate del 1944 gli Stati Uniti si trovano a combattere due guerre. Quella al fronte contro tedeschi e giapponesi e quella a casa contro il flagello della polio. Nell'estate del 1944 e nei successivi anni fino alla messa in commercio del vaccino la polio sarebbe stata un avversario temibile quanto i kamikaze giapponesi. Ne verrà colpito anche il presidente Roosevelt. Nella prima parte di Nemesi, Roth mette in campo un narratore onnisciente o almeno così crediamo. Ma siamo abituati a non fidarci troppo di Roth e anche per questo lo amiamo. Ecco la vita di Eugene Cantor, per i suoi amici Bucky, un ragazzo ebreo di Newark, vent'anni, atleta eccellente, un futuro come insegnante di educazione fisica. Sua madre è morta durante il parto. Suo padre è un truffatore mai presente. Eppure Mr. Cantor è cresciuto nell'amore, ha imparato il senso del dovere, a essere determinato, coraggioso nelle difficoltà. Valori assorbiti dai suoi nonni materni, gli unici veri genitori che abbia mai avuto. Sarebbe stato un soldato perfetto, Mr. Cantor, ma un difetto alla vista gli ha negato la possibilità di arruolarsi. 

Quella che per molti sarebbe stata una fortuna per lui diventa una vergogna difficile da sopportare. Si vergogna a farsi vedere in abiti civili, piange quando i suoi migliori amici partono per l'addestramento. Il pensiero del "come sarebbe stato se" accompagnerà l'intera esistenza del protagonista. Se sua madre fosse sopravvissuta al parto, se suo padre non fosse stato un ladro, se il difetto alla vista non gli avesse impedito di arruolarsi, se lui fosse stato più attento... Pagina su pagina, Roth mina le fondamenta del suo piccolo eroe, punisce la sua vita, stringe all'angolo la sua lucidità. 

Bucky Cantor, quando aveva dieci anni, ha ucciso da solo un topo nel negozio di suo nonno, grazie a quella determinazione e forza di volontà che ora vuole trasmettere ai ragazzi del campo giochi di cui è responsabile, vittime preferite della polio. Diventa ben presto un modello per loro. Difendere quei ragazzi dal contagio diventa la sua missione di soldato in patria. Roth costruisce un personaggio imbevuto fino al midollo di rettitudine morale, un guerriero che ha bisogno di un nemico da combattere. E se non possono essere i giapponesi sarà la polio, e poi Dio e infine se stesso, quando non troverà più nessun altra forza verso cui dirigere la propria superbia.

La costruzione del personaggio sembra rispondere alla legge meccanica e simbolica, maggiore sarà il suo peso e più forte sarà il rumore che farà quando crollerà a terra. Per questo in alcuni momenti il protagonista appare ai nostri occhi come un eroe invincibile, puro di cuore, che tutti amano, generoso fino all’annullamento personale. Qualcuno ha scritto che le vere storie d'amore di Philip Roth, non sono tanto quelle vissute dai personaggi, ma forse quelle che il grande scrittore americano vive con i protagonisti dei suoi romanzi. E nelle ultime pagine Roth restituisce a Mr. Cantor un attimo di bellezza perduta, come un dio buono che torna sui propri passi.

A cura di Wuz.it

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Nessuno legge un romanzo di Philip Roth per sapere come va a finire. Eppure, a metà di questo libro, il lettore sa che la nemesi non tarderà ad arrivare, anche se non sa ancora quando né come. E non soltanto, com'è ovvio, perché così vuole il titolo. Perché ne sente il peso, il fiato sul collo, anche quando le cose sembrano mettersi per il meglio; e perché la dea, simbolo di una giustizia superiore che distribuisce a ciascuno il suo pezzo di buona e cattiva sorte, non può non vendicarsi contro chi è stato troppo fortunato. È l'antica regola dell'invidia degli dei. In realtà, però, il protagonista di questo romanzo, Bucky Cantor (il cui nome di battesimo è Eugene, in greco "ben nato", "di nobili origini"), non è stato molto favorito dalla sorte: la madre è morta di parto, il padre condannato per furto e scomparso, dalla nascita è stato allevato (seppure molto amato) dai nonni in una delle zone più povere di Newark. Quello che ha lo deve tutto al suo impegno, alla forza e al desiderio di lottare con tenacia per ciò in cui crede. Ma, evidentemente, per la dea Nemesi questo non fa molta differenza.
Il romanzo si apre nel luglio del 1944, l'anno in cui Newark è colpita da una terribile epidemia di poliomielite, quando Bucky, ventitré anni, riformato per la guerra a causa di una forte miopia, lavora come animatore nel campo giochi di Weequahic dove allena un gruppo di ragazzi, ebrei come lui, al gioco del baseball. Il nonno, scomparso da qualche anno, gli ha insegnato a fare bene il suo dovere, e così Bucky è diventato un precoce campione sportivo, abile nel lancio del peso e del giavellotto, dotato di "un'incrollabile buona salute". Forse è per questo che, nella rovente Newark di quell'estate, afflitta dall'afa e infestata dal fetore dei vicini allevamenti di maiale, decide di lottare e di resistere contro la malattia, senza farsi prendere dalla paranoia del contagio e lasciando il suo compito soltanto per raggiungere l'amata Marcia sulle Pocono Mountains, dove l'aria sembra pulita e il contagio impossibile. Una scelta, quella di lasciare Newark, estremamente sofferta, che comporta un esito contrario a qualunque aspettativa.
Il primo atto di coraggio è, per Bucky Cantor, quello di pulire il campo giochi invaso dagli sputi di un gruppo di italiani del quartiere dell'East Side High, arrivati lì con il deliberato progetto di contagiare i bambini ebrei. "Prima vi attacchiamo la polio", dice uno di loro con i pollici infilati nei pantaloni e lo sguardo pieno di disprezzo. "Noi ce l'abbiamo e voi no, perciò abbiamo pensato che potevamo venire qui e attaccarvela". La minaccia sembra banalmente paradossale, ma si compie in tutta la sua crudeltà, come un "piccolo" correlativo simbolico dell'analogo progetto di morte che, nello stesso periodo, si stava compiendo nel mondo su vasta scala. E se Bucky non può combattere nell'esercito americano, può però lottare contro quel bacillo di cui – a una decina d'anni dall'inizio delle campagne di vaccinazione – non si conoscevano neanche bene le modalità di trasmissione. Incurante del contagio, il giovane lava il selciato con acqua calda e ammoniaca e corre a rincuorare i genitori dei bambini che in quei giorni muoiono l'uno dopo l'altro. Ma della polio, appunto, come del male, non si sa niente: "Avete lavato via gli sputi ma non avete lavato via la polio", dice il proprietario di un bar abbandonato per la paura del contagio. "Non si vede. È nell'aria, e tu apri la bocca, la respiri ed ecco che te la sei beccata. Non c'entra niente con gli hot dog".
Nella Peste (a cui Roth si riferisce in un'intervista del 2008), Camus scriveva: "Il bacillo della peste non muore né scompare mai". E, come la peste, la polio si manifesta e sopravvive in tutta la sua agghiacciante insensatezza. "Bisogna tutto credere o tutto negare", affermava padre Paneloux nel romanzo di Camus, dopo che la morte del piccolo figlio del giudice aveva spazzato via ogni ragionevole spiegazione religiosa. Nemesis sembra cominciare proprio di qui, dall'episodio di maggiore crudeltà ed estremo sconcerto della Peste: la morte dei bambini, che diventa sostanza tragica del romanzo. Bucky è molto simile al dottor Rieux, il medico che nella Peste combatte strenuamente contro la malattia. Come lui, non crede all'eroismo ma all'onestà ("La sola maniera di lottare contro la peste è l'onestà"), alla necessità di "fare il proprio mestiere". E, come Rieux ("Mi rifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati"), ma con più violenza, Bucky rivolge la sua indignazione contro Dio, "che aveva creato il virus": "Dio non ce l'ha una coscienza? Dov'è la Sua responsabilità? Oppure Lui non conosce limiti?".
L'indignazione, del resto, corrisponde a un altro significato della parola nemesis, e al tempo stesso ci riporta al precedente romanzo di Roth (Indignazione, Einaudi, 2009; cfr. "L'Indice", 2009, n. 11), dove si scatenava un'analoga ribellione contro l'ingiustizia della Storia e della vita, e dove si esprimeva lo stesso feroce contrasto tra un incoercibile desiderio di amore e bellezza, e la necessità di subire una disumana sofferenza. Ma qui l'indignazione, per quanto spesso diretta a Dio, chiama in causa gli antichi motivi tragici del Caso, della Sorte. L'eroe Bucky si ribella, ma non riesce a rimanere indenne. La sua fortuna, a dispetto delle difficoltà, è legata alla sua forza e alla capacità di amare e di farsi amare: dai bambini del campo, dalla fidanzata Marcia che rappresenta la promessa di quanto di più bello e di felice ci possa essere. Il loro incontro nel campeggio sulle Pocono Mountains, i tuffi con gli amici, il rosbif e il pasticcio di pasta, la festa degli indiani, l'amore su una piccola isola in mezzo al lago restano tracce luminose di una felicità insidiata dalla vendetta degli dei. La nemesi arriva, e trascina Bucky e Marcia via dall'isola, come nella Cacciata dal Paradiso terrestre di Masaccio. E colpisce due volte: con la malattia e con la colpa. Perché Bucky, a differenza di Rieux, si ammala e contagia. In questo modo, tradisce anche la propria onestà: "L'uomo onesto", leggiamo ancora nella Peste, è "colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile".
Il destino tragico di Bucky, che pure sopravvive alla malattia, si rivolge quindi contro se stesso, in una vita di disamore e di solitudine, nella speranza di riscattare la propria distrazione. Quello che gli è restituito, e quello che leggiamo, si trova ormai soltanto nella narrazione, nel "romanzo", che si compone nelle conversazioni di Bucky con Arnie, l'amico di Weequahic, quando tutto è già finito, tutto è già compiuto. In questo modo Roth riafferma la tendenza della sua ultima narrativa (Everyman, Il fantasma esce di scena, Indignazione e L'umiliazione) a guardare la vita dal punto di vista esterno ed estremo della morte, della malattia, quella prospettiva a cui Michail Bachtin, in L'autore e l'eroe, attribuiva una grande forza estetica (ed etica): "Il rapporto esteticamente creativo con l'eroe e il suo mondo è un rapporto come con qualcuno che deve morire". Ma qui l'aspetto più interessante è che questo punto di vista permette anche di superare lo schema tragico apparentemente convenzionale, quello della caduta dell'eroe. Pur svuotandosi di sostanza e di centralità, il racconto restituisce a Bucky ciò che il destino gli ha tolto; si conclude, infatti, con un nuovo inizio, con la sua immagine di campione nel lancio di giavellotto, un'immagine di forza, felicità e bellezza che nessuna invidia divina e nessuna nemesi potranno mai distruggere.
Chiara Lombardi

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La recensione di IBS

Philip Roth deve aver scoperto la fonte dell’eterna giovinezza letteraria in una stradina di Newark o nello stato del Connecticut, dove attualmente vive. Ogni suo nuovo romanzo sembra incorporare il fuoco sacro dello scrittore agli esordi. L’energia dirompente, l’ingenuità, una brezza di entusiasmo capace di spazzare via anche il più piccolo acaro di affaticamento. Allo stesso tempo, ne è prova anche l’ultimo romanzo, appare evidente l'unicità di Roth nel panorama internazionale, scrittore padrone della materia, demiurgo che toglie e restituisce, personificazione della “giustizia distributiva”, come appunto la dea Nemesi.
Nell'estate del 1944 gli Stati Uniti si trovano a combattere due guerre. Quella al fronte contro tedeschi e giapponesi e quella a casa contro il flagello della polio. Nell'estate del 1944 e nei successivi anni fino alla messa in commercio del vaccino la polio sarebbe stata un avversario temibile quanto i kamikaze giapponesi. Ne verrà colpito anche il presidente Roosevelt. Nella prima parte di Nemesi, Roth mette in campo un narratore onnisciente o almeno così crediamo. Ma siamo abituati a non fidarci troppo di Roth e anche per questo lo amiamo. Ecco la vita di Eugene Cantor, per i suoi amici Bucky, un ragazzo ebreo di Newark, vent'anni, atleta eccellente, un futuro come insegnante di educazione fisica. Sua madre è morta durante il parto. Suo padre è un truffatore mai presente. Eppure Mr. Cantor è cresciuto nell'amore, ha imparato il senso del dovere, a essere determinato, coraggioso nelle difficoltà. Valori assorbiti dai suoi nonni materni, gli unici veri genitori che abbia mai avuto. Sarebbe stato un soldato perfetto, Mr. Cantor, ma un difetto alla vista gli ha negato la possibilità di arruolarsi.
Quella che per molti sarebbe stata una fortuna per lui diventa una vergogna difficile da sopportare. Si vergogna a farsi vedere in abiti civili, piange quando i suoi migliori amici partono per l'addestramento. Il pensiero del "come sarebbe stato se" accompagnerà l'intera esistenza del protagonista. Se sua madre fosse sopravvissuta al parto, se suo padre non fosse stato un ladro, se il difetto alla vista non gli avesse impedito di arruolarsi, se lui fosse stato più attento... Pagina su pagina, Roth mina le fondamenta del suo piccolo eroe, punisce la sua vita, stringe all'angolo la sua lucidità.
Bucky Cantor, quando aveva dieci anni, ha ucciso da solo un topo nel negozio di suo nonno, grazie a quella determinazione e forza di volontà che ora vuole trasmettere ai ragazzi del campo giochi di cui è responsabile, vittime preferite della polio. Diventa ben presto un modello per loro. Difendere quei ragazzi dal contagio diventa la sua missione di soldato in patria. Roth costruisce un personaggio imbevuto fino al midollo di rettitudine morale, un guerriero che ha bisogno di un nemico da combattere. E se non possono essere i giapponesi sarà la polio, e poi Dio e infine se stesso, quando non troverà più nessun altra forza verso cui dirigere la propria superbia.
La costruzione del personaggio sembra rispondere alla legge meccanica e simbolica, maggiore sarà il suo peso e più forte sarà il rumore che farà quando crollerà a terra. Per questo in alcuni momenti il protagonista appare ai nostri occhi come un eroe invincibile, puro di cuore, che tutti amano, generoso fino all’annullamento personale. Qualcuno ha scritto che le vere storie d'amore di Philip Roth, non sono tanto quelle vissute dai personaggi, ma forse quelle che il grande scrittore americano vive con i protagonisti dei suoi romanzi. E nelle ultime pagine Roth restituisce a Mr. Cantor un attimo di bellezza perduta, come un dio buono che torna sui propri passi.

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Philip Roth

1933, Newark, New Jersey

Philip Roth (Newark 1933 - Manhattan 2018) è stato uno scrittore statunitense. Figlio di ebrei piccolo-borghesi rigorosamente osservanti, ha fatto oggetto della sua narrativa la condizione ebraica, proiettata nel contesto urbano dell’America dell’opulenza. I suoi personaggi appaiono vanamente tesi a liberarsi delle memorie etniche e familiari per immergersi nell’oblio dell’attualità americana: di qui la violenta carica comica, ironica o grottesca, che investe anche le loro angosce. Dopo un primo, felice romanzo breve, Addio, Columbus (1959), e i meno incisivi Lasciarsi andare (1962) e Quando Lucy era buona (1967), Roth ha ottenuto la celebrità con Lamento di Portnoy (1969).Dopo Il grande romanzo americano (1973, riedito in Italia da Einaudi nel...

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