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Descrizione


Alessandro, detto Ale, ha quindici anni e ha dato fuoco a una casa. Lo ha fatto con rabbia, per una specie di vendetta consumata contro chi ha voluto sfrattarne una coppia di coniugi anziani, i soli riferimenti rimastigli in una città ostile e spettrale. Sua madre, Adele, che lo ha avuto ragazzina da un uomo rimasto ignoto, è minata dalla malattia mentale e dalla paura di un mondo che osserva come "con gli occhi di un bambino di fronte a un temporale". Gli amici e coetanei di Ale - Ferdi e Tony - sono anch'essi segnati dal destino di fuga, sconfitta e tragedia che sembra incombere sull'ambiente in cui crescono. Ma è proprio a quel destino che Ale lancia la sua sfida.
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Dettagli

2
1997
14 luglio 1997
132 p.
9788807015151

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 5/5
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vinci
Recensioni: 5/5

il migliore di Bettin senza dubbio, anche se pure "Qualcosa che brucia" ha le stimmate dell'ottimo. Però questo è davvero travolgente, con alcune 'scene' (la discesa saltante/volante, la morte degli amici di Ale, anche il rapporto madre-figlio) palpitanti, che si aprono tridimensionali in tutta la loro spettacolarità. Paradossalmente (!?) è un testo molto più filmico dell'opera di Gaglianone, che purtroppo sconta la sua povertà di budget. Al contrario di quanto fatto da Picca con "Bellissima", la canzone che da il titolo al romanzo è usata in maniera utile e davvero pregna. Da canzone d'amore a urlo di libertà!

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Voce della critica


recensione di Cerasi, E., L'Indice 1997, n. 4

"La mia vita comincia dal niente" confessa, sul finire, un personaggio dell'ultimo romanzo di Gianfranco Bettin. "Dal niente non si genera niente" era, secondo Aristotele, la verità fondamentale di "coloro che per primi filosofarono"; lo stesso Aristotele tradusse questa legge nel suo "principium firmissimum" detto poi "principio di non contraddizione". Gianfranco Bettin, avvicinandosi in questo alla diffusa insofferenza della cultura contemporanea nei confronti della logica aristotelica, ritiene invece che la contraddizione, la dissonanza atonale, sia qualcosa di assolutamente reale.
E infatti la storia di Ale, ragazzo - ora forse ultratrentenne - cresciuto nella periferia industriale di Marghera, in un clima di emarginazione sottoproletaria, proprio della contraddizione è testimonianza. Figlio di una ragazza-madre con problemi psichici, ossessionato da una rabbia tanto istintiva quanto irriflessa, per vendetta e per giustizia dà fuoco alla casa dalla quale una coppia di anziani a lui cari è stata ingiustamente sfrattata. Ale finirà in riformatorio, ma lì, nonostante un tentativo più simbolico che reale di fuga, riuscirà a riscattare tanto la propria condizione quanto quella sempre più compromessa della madre.
La contraddizione, dunque, mi sembra il nucleo centrale del romanzo. Bettin - e non da oggi, si pensi ai lavori precedenti: "Qualcosa che brucia" (Garzanti, 1989; cfr. "L'Indice", 1989, n. 4) e "L'erede" (Feltrinelli, 1992; cfr. "L'Indice", 1993, n. 2), per limitarci alla sua produzione narrativa - è mosso dall'intenzione di misurarsi seriamente con gli aspetti più lacerati e crudi della nostra società, con i quali egli stesso ha avuto a che fare. E i personaggi di cui Bettin ci parla, siano o no reali, portano visibilmente i segni dell'inquietudine e della dissonanza (nonostante - con un contrasto felice - siano portati a cantare canzoni sempre rigorosamente "tonali"); e forse, di per sé, avrebbero anzi richiesto che la narrazione rimanesse più fedele a questa inquietudine. Si ha invece la sensazione che Bettin sia continuamente tentato da una via di fuga dalla contraddizione. Il destino, annunciato già dal titolo come elemento tematico del romanzo, svolge una funzione consolatoria e prepara un riscatto soltanto individuale: "Questo vuole il destino per noi, così era stabilito"; "È il destino, ripeteva"; "Lavorava il destino"; "NEL NOSTRO DESTINO STABILITO"; "Venivamo dal niente (...). E al niente siamo destinati". Il destino ha la funzione di giustificare la contraddizione inserendola in una fatalità, non sembri paradossale, di sconfitta collettiva e di salvezza individuale.
Non alludo tanto al finale, solo parzialmente positivo; è l'intera narrazione a oscillare tra una contraddizione apparentemente insolvibile ("'È un mondo senza cuore', disse lei"; "Ladra la vita, ladra ladrona") e la sua soluzione psicoanalitica. Sembra di capire, insomma, che il vero nodo con cui Ale deve confrontarsi sia non già la durezza della periferia sottoproletaria di Marghera ma la pulsione di morte data da un incesto pur solo simbolico, e che da questo dipenda la sua sorte complessiva: "Forse l'ho desiderato, di cadere. Ma se era una pulsione di morte, si confondeva con uno slancio di vita".
Anche questa è, naturalmente, una contraddizione, non meno seria della prima. Da questo ulteriore nodo si dipana però la prospettiva che prima qualificavo come consolatoria per la quale l'unico modo di opporsi all'inadempienza della vita nei nostri confronti è raccontarla: "Racconta, nemmeno il destino te lo può impedire"; "Se potessi oltrepassarla, se potessi sostenerla nel tempo, come si sopporta una ferita, un dolore, se riuscissi a dirla, se sapessi raccontarla, la storia".
L'oscillazione tra questi due ordini di discorso, in sé legittima, si presenta tuttavia nel libro di Bettin come un'ambiguità irrisolta, che tende a compromettere lo stesso impianto linguistico del romanzo. È come se questa duplicità di livelli fosse tenuta assieme da un tono a volte un po' sentenziale e comunque stonato, poco credibile in bocca a un personaggio come Ale. "Un'ombra pallida entrò nella camera buia. Il cuore mi si arrestò e un brivido, un ragno freddo mi percorse tutto il corpo". "Ombra pallida", "ragno freddo", sono espressioni che corrispondono a un personaggio eccessivamente carico di stratificazioni semantiche, cui, forse, avrebbe giovato una maggiore semplicità.

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Conosci l'autore

Gianfranco Bettin

1955, Marghera

(Marghera, Venezia, 1955) scrittore e saggista italiano. Ha insegnato e lavorato a lungo nel campo della ricerca sociale. Collabora a diversi quotidiani e riviste, tra cui il manifesto, i giornali locali del gruppo Repubblica-Espresso, il mensile Lo Straniero, Micromega. Ha esordito nel 1989 con Qualcosa che brucia, romanzo autobiografico ambientato nel degrado di Marghera. Si è specializzato nel romanzo-reportage (Eredi: da Pietro Maso a Erika e Omar, 1992; Sarajevo Maybe, 1994; Petrolkimiko, 1998; La strage. Piazza Fontana, verità e memoria, 1999, con M. Dianese) in cui l’attualità diventa materia della narrazione. In Nemmeno il destino (Feltrinelli 1997), Nebulosa del Boomerang (Feltrinelli 2004) e Le avventure di Numero Primo (Einaudi 2017), pur...

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