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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2012
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Una delle più belle biografie sportive che abbia mai letto, la storia del capostipite di una razza di allenatori e uomini di gran valore e di gran spessore, bravissimo Garanzini a raccontarla
Un libro ricco di storie e di aneddoti che Garanzini lega con sapienza e mestiere riuscendo a darti la sensazione che quel calcio e quei uomini non ci saranno più. Un tuffo in un mondo lontano ma ricco di valori e di un modo di fare sport da studiare per provare a riportare al giorno oggi qualcosa che obiettivamente manca. Fondamentale per chi ama lo sport e il calcio.
Il calcio che si rimpiange negli anni delle mourinhate o moggiate. Garanzini scrive benissimo come del resto parla benissimo (ascoltare per credere Radio 24). Del resto da uno che produce un vino sconosciuto e buonissimo solo per passione cosa ci si può aspettare. Il paron lo avrebbe apprezzato anche per questo.
Recensioni
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«Nereo Rocco, de profession bel giovine, morì all'ospedale Maggiore di Trieste la mattina del 20 febbraio '79». Lo chiamavano il paròn, una quercia d'uomo passata alla storia del calcio italiano per le sue doti sportive e, soprattutto, umane. Triestino purosangue, buon calciatore e allenatore di Triestina, Padova, Milan, Torino e Fiorentina, Rocco viene raccontato a trent'anni dalla scomparsa da Gigi Garanzini, firma sportiva della Stampa e di Radio 24 che già aveva felicemente ritratto Enzo Bearzot, allievo di Rocco, nel libro Il romanzo del vecio. Ma perché scrivere di Nereo Rocco, oggi? Forse perché di lui, «ben al di là degli scudetti e delle coppe - spiega Garanzini - resta la memoria viva, pulsante, di una straripante umanità tramandata di giocatore in giocatore, di generazione in generazione». Rocco, infatti, ha degli eredi diretti: i commissari tecnici Bearzot e, come loro stessi hanno autocertificato con orgoglio, Trapattoni e Maldini.
Questo viaggio nella memoria, intrapreso nel '99, a vent'anni dalla scomparsa, e ripercorso adesso che gli anni son diventati trenta, parte da Trieste, "lo spogliatoio di famiglia", dalla macelleria Rocco chiusa nel '96 tra mille tormenti, e dai due figli Bruno e Tito. La città nell'89 gli ha intitolato uno splendido stadio, Rocco vi faceva ritorno tutte le domeniche, alla sera, in macchina, da Padova, Milano o Torino. Cascasse il mondo, il lunedì del paròn era a Trieste, con la moglie, la siora Maria che gli faceva trovare pronto l'arrosto con le melanzane e le zucchine impanate, il vino Terrano del Carso e quei rossi corposi meno adatti ai suoi figli giovani, le visite dei giocatori da Grado o Lignano d'estate. L'allenatore si negava alle telefonate pressanti dei giornalisti, poi però c'era l'appuntamento fisso del lunedì sera, alla trattoria "Jeti", dove i commensali si riunivano per aggregazione spontanea, potevano essere dieci come quaranta tra amici e conoscenti, vi si davano convegno ad aspettarlo e lui, piazzato a capotavola, non li deludeva mai. Un rito familiare, simbolo di un calcio genuino che non c'è più, che Rocco avrebbe replicato anche nella Milano degli anni 70, sponda rossonera, sulle tavolate del ristorante "l'Assassino", trasformato in ufficio e quartier generale del Diavolo. Quella sua capacità di coinvolgimento, che gli derivava da una simpatia istintiva e dal saper cogliere gli umori nell'aria, avrebbe fatto negli anni la fortuna di Rocco come allenatore, capace di amalgamare i giocatori e di amministrare lo spogliatoio della squadra come fosse una grande famiglia.
Il racconto di Garanzini su questo grande istrione del nostro calcio è ricco e articolato, con lieve nostalgia attraversa gli anni 50 e la promozione in serie A del suo Padova, le avventure sulla panchina del Milan con la conquista delle Coppe dei campioni, nel '63 a Wenbley con Altafini e nel '71 con Rivera contro l'Ajax, e termina con un omaggio ai suoi "discepoli" e "cugini", e con un saluto affettuoso da parte dell'autore che contribuisce a diffondere la leggenda del paròn ancora oggi.
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