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Anno edizione: 2015
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Mi dispiace ma non riesco a dare 5 stelle a questo libro. Peraltro ultimamente mi sembrano tutti di manica larga: 5 stelle si danno ai capolavori, e a quanto pare, oggi si sprecano. Libro molto bello, sicuro, non posso dire altrimenti. Se forse la Petri si fosse risparmiata tutte quelle pagine dove il padre discute con la figlia sull’Iliade e l’odissea, alcuni capitoli sarebbero stati più fluidi. E non mi si venga a raccontare che tutti hanno letto gli sproloqui su Omero perché non ci credo! Per il resto…niente da dire! La Petri è sempre una bravissima scrittrice
Lettura piacevole, a metà tra il biopic e il racconto puro. Scritta in maniera più fluida la prima parte, con più sofferenza la seconda quando entra in gioco il rapporto diretto padre-figlia. Un po’ ridondante in alcune parti, ma nel complesso decisamente leggibile.
Buon libro e soprattutto ben scritto. Chiunque sia genitore o figlio/a potrà senzaltro riconoscersi in tanti comportamenti, sia giusti che sbagliati, che normalmente si istaurano nel rapporto e per questo non potrà che apprezzare questo libro. Consigliato
Recensioni
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Vincitore Premio Mondello 2016, sezione Opera italiana.
"Certe volte si fermava, gli chiedeva una pausa, non c'era mica nessuno che gli stava correndo dietro, no? E Mario gli rispondeva che non lo sapeva se qualcuno gli correva dietro o no, ma certo qualcosa dentro ce l'aveva, e non solo in quel momento, sempre. Era come una fretta, anzi, una specie di emozione, un brivido, un'attesa".
Un romanzo che è un impeto, un appiglio alla vita, un gancio destro ben dato, di quelli che solo il Ciclone sa assestare così bene. Di quelli che stendono.
Una figura ingombrante, quella di Mario Petri, uomo voluminoso nelle spalle e nello spirito, padre scostante e ammaliatore, dall’animo gentile e cortese, dalle movenze drammatiche e dagli sguardi severi.
Ma questo libro, scritto da una figlia per il proprio padre, non è una resa dei conti. Romana Petri racconta la storia di Mario Petri – all’anagrafe Mario Pezzetta – celebre baritono e attore italiano, che è sì la storia di un padre attraverso gli occhi stregati di una figlia, ma è anche la vicenda di un uomo in corsa contro gli anni cruciali della storia d’Italia. Un’Italia piegata in ginocchio dal ventennio fascista e dalla guerra, e nuovamente pronta a rinascere, in un arco di tempo che ricopre sessant’anni di storia del nostro Paese. E in un ampio spazio narrativo, falciando le intemperie di questi anni bui, si erge lui, imponente, colossale: il Ciclone.
Mario viene al mondo nella campagna di Cenerente, in provincia di Perugia, dopo aver quasi ucciso sua madre, la Terzilia. Mario è forte e robusto: cresce in una cesta in mezzo ai campi, si nutre con le uova dell’Olimpia e prende un centimetro di altezza per ogni botta che riceve dal padre, l'Attilio, uomo violento e codardo. Mario cresce così tanto che raggiunge quasi i due metri. Ha l’argento vivo in corpo: lo chiamano Ciclone perché mena così forte e veloce da non farsi star dietro da nessuno. Ed è lì, tra una Perugia assopita nelle strade e animata nei baretti, e Cenerente, luogo magico in cui la natura scandisce la vita e i solchi sul viso di ogni contadino, che Mario scopre la sua strada: il canto, la lettura, l'amore per il cinema, il suo animo spesso, vivace e nostalgico.
Arrivano gli anni della guerra e si portano via molte cose, le speranze si paralizzano, gli animi delle persone mutano. Solo i sogni di provincia rimangono gli stessi e Mario lì tiene lì, senza lasciarli mai andare:
Ma è che stava pensando alla morte e gli era venuta una gran paura. In quel momento, non l’avrebbe saputo dire quanta vita aveva ancora davanti, e gli sembrava addirittura che fare tanti giuramenti portasse male. In quei giorni la giovinezza era una cosa strana, c’era e non c’era. E in quell’ambiguità si mostrava il volto dell’Orlando, a poco più di vent’anni, nell’imbrunire che ormai s’era inghiottito la stanza dove loro due pensavano in silenzio e Paolo si dormiva tutta la prematura fine dell’infanzia.
La guerra finisce. All’improvviso, Roma: troppo grande, troppi sogni tutti insieme, troppa vita che brucia, nelle balere, sul ring degli incontri di pugilato, tra le lenzuola che sanno di donne. E da questo momento in poi la vita s’incendia: prima arrivano i successi, il canto lirico, la Scala, il cinema, poi la famiglia e infine la caduta e l’illusione di un tempo che non tornerà più. Ciclone è cresciuto e da Perugia ha conosciuto la gloria, e da figlio è diventato padre. Il padre di una ragazzina incendiaria come lui, polvere da sparo in un rapporto viscerale che commuove e strazia fino all’ultima pagina. Ormai Cenerente è lontana, tutta quell’esplosione di giovinezza se n’è andata con l’odore dei campi, viale Vannucci, la pipa del Damino e il sugo di rigaglie... Eppure è una giovinezza eterna, quella del Ciclone, riportata in vita così intensamente dalla Petri, quasi da sembrare indomabile.
Romana Petri ci regala le immagini di personaggi indimenticabili, un affresco della campagna umbra e di tutte le stagioni che si susseguono, la forza di una natura che coincide con la forza di Mario. Con una dolcezza quasi melanconica, la scrittrice racconta la storia di un'Italia lontana, attraverso la campagna rurale, la fame e la guerra, la povertà e la commozione per un letto fatto di frumentone, di un uovo ancora caldo, da bere, degli anni del boom economico, della dolce vita, di quando i sogni di un giovane scapestrato come Mario potevano tradursi in vita vera; bastava tenerli stretti nelle mani.
La scrittura quasi magica della Petri rende questa storia impensabile senza il dialetto di cui è colorita: una lingua costante e insidiosa, che è un tutt’uno con i suoi personaggi. Un idioma eloquente e frenetico che si sparge nel realismo vivace dei dialoghi, così come nell'indugio descrittivo dei luoghi e dei pensieri intimisti. La scrittura di Romana scivola nelle pagine con la stessa dolcezza delle note emesse dalla voce del padre. Un dialetto che celebra questo racconto generazionale. Un affanno d'immagini che fanno fatica ad abbandonare il lettore:
Il babbo non era mai riuscito a vivere un solo giorno nel presente, era sempre proiettato nel futuro, come se la vita non avesse fine.
A cura di Wuz.it
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