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Anno edizione: 2021
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Monza, domenica 29 luglio 1900, ore 20.30. La gente si accalca attorno al campo sportivo, dove si sta svolgendo un torneo a squadre. Tutti attendono il re, che sarà presente al momento della premiazione. Nessuno immagina che l'orologio della Storia stia scandendo implacabile i minuti.
Umberto I ha appena finito di cenare e prende posto sulla carrozza reale. Il protocollo vorrebbe che fosse coperta, ma il re ha preteso di viaggiare senza la capote. Il caldo torrido lo ha costretto a rinunciare anche alla maglia d'acciaio che porta abitualmente sotto il gilet. Alla stessa ora, seduto al Caffè Romano di via Carlo Alberto, c'è un uomo con un revolver in tasca che ha trascorso nervosamente il pomeriggio tra un gelato e l'altro. Si chiama Gaetano Bresci, è un anarchico, ed è venuto da lontano. Anche lui sta aspettando il re. La cerimonia è terminata. Il re si alza in piedi. C'è ressa attorno a lui. L'aiutante di campo gli fa strada, la scorta che lo accompagna scruta senza troppo convincimento i volti di chi si assiepa attorno al sovrano. Bresci estrae il revolver dalla tasca della giacca e fa fuoco tre volte. Tutti i colpi vanno a segno. «Non ho ucciso un re, ho ucciso un'idea», dirà l'anarchico. Per l'Italia uscita dalle guerre risorgimentali è la fine dell'innocenza, come per l'Europa lo sarà, quattordici anni dopo, l'uccisione di un altro futuro sovrano a Sarajevo. Dietro a quel gesto, ci sono trent'anni "sbagliati" del nuovo regno: gli scandali, le mortificate ambizioni coloniali, i socialisti e i cattolici, la mancata riforma agraria. E quelle maledette cannonate fatte sparare dal generale Fiorenzo Bava Beccaris contro i milanesi che chiedevano pane. Per l'Italia è l'inizio del secolo breve e maledetto. «Senza saperlo, Bresci aveva ucciso un dandy, non un re. Un suo simile, nel profondo».Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un buon esempio di storia narrata che rende la lettura senz'altro immediata e senza sbavature. Volendo può costituire un primo approccio alla storia dell'epoca umbertina, da approfondire con successivi studi storici.
Al contrario di quanto può far pensare il titolo, il libro non è "solo" una storia dell'ultimo periodo della vita di Umberto I e neppure una doppia biografia del re e del suo assassino, come quel "29 luglio 1900" di Albertaro che già recensii per IBS. Si può considerare invece la storia del sovrano, della sua consorte e cugina Margherita e di Gaetano Bresci, proiettata sulla storia generale del periodo: i tre personaggi calati nel il loro tempo. E qui si tocca il cuore dei meriti e dei limiti del libro di Ferrari: dei meriti, perché ha l'ambizione di mettere a fuoco gli aspetti essenziali dell'epoca, con la tumultuosa crescita del Paese nelle sue molte fragilità e contraddizioni economiche, politiche e sociali, nel permanere del divario fra Nord e Sud, sempre conservando un tono spigliato, giornalistico, che ne rende piacevole la lettura, almeno al lettore che qualcosa già conosca e abbia letto del periodo. E fra questi meriti non va dimenticato quello di non avere calcato la mano sui personaggi più discussi o già condannati dalla storia, quali Crispi e Bava Beccaris, rinunciando al facile vezzo di farne caricature o di esagerarne le colpe. Ma nell'ampiezza di questi meriti, sono già insiti i demeriti e i limiti: troppa "carne al fuoco", troppi temi, troppi riferimenti, trattati necessariamente a volo d'uccello, generando confusione e insoddisfazione per la inevitabile superficialità che ne deriva. Valga per tutti il tema del colonialismo, di per sè sufficiente a riempire intere biblioteche. Sarebbe stata più opportuna una triplice biografia, con le vite parallele dei tre personaggi centrali. Detto ciò, il libro si fa leggere con piacere, suscitando curiosità e quindi altre occasioni di lettura e di approfondimento.
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