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Anno edizione: 1994
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Ottimo romanzo poliziesco ante-litteram: Goncarov anticipa addirittura Poe scrivendo un giallo con tutti i crismi nel 1836 qualche anno prima dell'esordio di Dupin. Peccato che l'identità del delinquente e assassino è rivelata sin da subito nella peraltro ottima prefazione. Primo libro che leggo di Goncarov. Sono rimasto estasiato dalla descrizione di San Pietroburgo all'apice del suo splendore, dopo la vittoria contro Napoleone, fatta da uno scrittore di razza, conservatore sin nel midollo (e ciò è evidente in più punti del libro) e dotato di un'intelligenza notevole e di un ironia acuta, al punto da mettere alla berlina tutti gli stilemi del romanticismo allora così in voga e oggi terribilmente ridicoli, creando un testo ancora attuale, che si legge davvero con piacere, finanche con divertimento e in poco tempo, presi come siamo a seguire i risvolti di una vicenda enigmatica e appassionante. Devo quanto prima recuperare Oblomov, il suo capolavoro. Sarà senza dubbio interessantissimo.
Recensioni
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recensione di Piretto, G.P., L'Indice 1994, n.11
(recensione pubblicata per l'edizione del 1994)
Il racconto lungo che colloca Ivan Goncarov tra gli iniziatori del genere "poliziesco" russo fu pubblicato anonimo in una rivista del 1836, riscoperto nel 1960 dalla studiosa russa Demichovskaja, la stessa che, nel 1993, ne curò la ristampa sulla rivista "Moskva". Di un vero e proprio genere "giallo" nella tradizione letteraria russa è difficile parlare. Rimandando di poco l'inevitabile riferimento al "Delitto e castigo" dostoevskiano, si deve procedere fino agli anni a cavallo dei secoli XIX e XX per trovare una produzione degna di una certa attenzione. Curiosa è intanto la denominazione del genere stesso. Ciò che oggi, in epoca di post-perestrojka, invade banchetti e scaffali delle librerie russe e si chiama, ennesima influenza straniera, 'detecthivnyj roman' (romanzo poliziesco), allora si chiamava 'ugolovnyj' (criminoso), rivelando una, forse non casuale, attenzione per l'autore dei misfatti più che per l'inquisitore degli stessi. I grandi romanzi russi, invece, anche quelli per cui il genere poliziesco, come ha insegnato Bachtin, aveva costituito una fonte, mireranno non tanto allo smascheramento del delinquente ma a un'analisi del suo comportamento, della sua psiche, se non al tentativo di una sua giustificazione.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento i romanzi "criminosi" di Mel'nikov, Skljarevsij, Ponomarev, Zivotov divennero dei veri e propri best-seller, combinando perversioni, amori e delitti con un, seppur debole e improvvisato, interesse sociale. Vita quotidiana, modi e maniere della Pietroburgo da cronaca nera vivevano e appassionavano, sullo sfondo di una realtà quotidiana molto simile e vicina a quella narrata, migliaia di lettori.
Goncarov venne prima di tutti. A differenza di Dostoevskij, che proporrà un'indagine poliziesca più psicologica, ideologica, quasi mistica, con l'assassino spiattellato e presentato in prima pagina, il futuro autore di "Oblomov" offre un autentico racconto di intrighi, con tanto di cadavere, sospetti e, soprattutto, colpi di scena. L'ambiente è quella stessa Pietroburgo che diverrà protagonista di tanti romanzi negli anni successivi. La narrazione parte dal forte contrasto tra la protagonista, avvenente giovane donna molto per bene, e lo squallore esasperato della stazione di polizia in cui ella si reca a fare una denuncia. Rispettoso della tradizione critica "gialla" non rivelerò alcun elemento che possa rovinare il gusto della lettura. Mi limiterò a prendere in esame i tratti più caratteristici della storia che procede ricca di slanci, commenti, involuzioni e deviazioni dalla linea centrale. Artifici voluti dall'autore per manifestare, anche sotto questa forma, la sua ironia verso un certo tipo di romanticismo, di personaggio femminile, di emotività alla moda. Il quadro della società che ne deriva vede una netta contrapposizione del mondo maschile a quello femminile, un trionfo della realtà borghesuccia e perbenista, una condanna a tinte forti (senza mai scordare che anche di ironia si tratta) dei vizi e dei pericoli di quel mondo.
Non mancano i momenti boccacceschi, quelli di tensione, quelli di genere, ascrivibili a una classica morfologia pietroburghese; l'incendio della casetta, la passeggiata sul Nevskij prospekt, il giorno di festa. Tutti sfruttati ai fini della trama e della successione ritmata di cause ed effetti. Dopo un inizio piuttosto avvincente seguono pagine apparentemente di routine, in cui la vicenda pare risolta per inerzia e la pratica "infossata". Non cascarci, o lettore! Nella seconda metà del racconto il tono risale e i colpi di scena si susseguono, srotolando tutti gli ingredienti del "giallo", anche se sempre conditi dal sarcasmo parodistico dell'autore. Ecco allora lo smascheramento del colpevole che può essere letto anche come una condanna sociale di un preciso tipo di giovane parassita. Ecco la furia di una donna al processo che si può intendere come prova di fedeltà femminile a oltranza. Senza voler colorare troppo il racconto goncaroviano di profondità o interiorità, questo resta comunque una buona prova d'autore e procura a chi lo legge momenti coinvolgenti, se non di vera suspense, e fornisce un godibile esempio di un genere letterario ancora tutto da scoprire, seppur non particolarmente ricco di frecce al proprio arco.
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