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Il filosofo ebreo Anders scrive al figlio di Eichmann due lettere nell'arco di 25 anni. Sia alla prima che alla seconda del 1988, Klaus, il figlio di Eichmann, non rispose. La prima lettera, la più lunga, l'ho trovata non così interessante forse perchè aveva un approccio più filosofico della seconda che ho trovato più efficace, se la formula voleva essere appunto l'apertura di un dialogo, perchè aveva riferimenti puntuali agli accadimenti del tempo e risultava di fatto un bilancio lucido e corretto degli ultimi 25 anni. In generale il libricino non mi ha entusiasmato per ripetizioni dei concetti e le continue ipotesi su idee e comportamenti di Klaus Eichmann.
Forse se avessimo vissuto in quel periodo dove regnava il terrore per chi si opponeva al nazismo saremmo potuti potenzialmente essere tutti figli di Eichmann, ma fatico a credere che, lavorando come anello dell'ingranaggio dello sterminio programmato, il distacco emotivo solo perche' non si vedeva nulla ma si conoscevano soltanto i risultati sia una giustificazione per il reato che si commetteva. Chi partecipava dietro una scrivania a questo genocidio non puo' fingere di essere non colpevole. L'autore scrive lettere al figlio naturale di Eichmann partecipa al suo dolore sia per la perdita del padre giustiziato in Israele sia per il peso del cognome che porta, lettere che non avranno risposta. I potenziali figli di Eichmann sono coloro che non si dissociarono mai da quei crimini commessi dai padri, sono coloro che si nascondono dietro un dito adducendo che dato che veniva ordinato era essenziale svolgerlo. Una riflessione importante, dissociarsi dal crimine del padre non vuol dire non provare il dolore del lutto per la sua perdita, vuol dire riconoscere il male, quel male che purtroppo si e' rifatto vivo anche ai giorni nostri.
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