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A pochi anni dalla sua morte, il passaggio folgorante di Stefano Scodanibbio nella musica contemporanea appare sempre più, come ebbe a dire lui stesso del suo rapporto col contrabbasso, come un’avventura che nessun altro avrebbe potuto intraprendere.
«Impossibile restituire per iscritto una "presenza" che fiammeggia, nel ricordo di chi ha avuto la fortuna di frequentarlo» - Andrea Cortellessa, Il Sole 24Ore
«"Non abbastanza per me" raccoglie le note ai pezzi di Scodanibbio, alcuno scritti autobiografici e certi interventi, consegnando alla scrittura un'organicità che nel suo fluire veloce ed esatto riporta immediatamente alle azioni del suo contrabbasso, dando vita ad un legame profondo e radicale tra le vita e le opere» - Blow Up
«Parole che risuonano come la sua musica e, se si legge bene, nelle righe di una biografia "sentita come unica forma d'esistenza e creazione" si ascolteranno gli echi di quel colossale romanzo che Sondanibbio ha vissuto senza mai smettere di sperimentare» - Vincenzo Santarcangelo, La Lettura
Dell'avventura di Scondanibbio gli scritti qui raccolti presentano una testimonianza straordinariamente viva: gli appunti di viaggio (l’India, l’amatissimo Messico, la Svezia, la Spagna, la California), gli incontri decisivi (Scelsi, Berio, Xenakis, Nono, ma anche poeti e scrittori, come Sanguineti e Agamben), le annotazioni illuminanti sulla musica si compongono in una sequenza vertiginosa, che ricorda la velocità e l’esattezza con cui egli riusciva a trarre dal contrabbasso sonorità prima di lui insospettate. E man mano che la lettura procede, gli sguardi, i gesti, le sensazioni febbrili e quasi incomunicabili lasciano trasparire in filigrana qualcos’altro: il legarsi sempre più intimo e stretto di una vita e di un’opera, di un’avventura biografica perennemente insoddisfatta e di una maestria creatrice ogni volta esemplare.
Indice
Stefano Scodanibbio, perturbati
di Mario Gamba
Stefano Scodanibbio è stato un gran dispensatore di piacere per chi segue le cose della musica. Soprattutto per il fatto di non essere limitato come lo sono – che tristezza! – tanti musicisti, «colti» o «extracolti» non fa differenza, o se la fa è a svantaggio di quelli «colti». Un compositore e strumentista, difficile o inutile o dannoso separare i due ruoli, che ruoli non sono mai stati per lui, e un intellettuale, un uomo, appassionato di arti, certo, e luoghi, certo, di libri e scrittori di libri, e anche della conflittualità tra le idee e tra i soggetti sociali che stanno nel mondo. Un vero peccato che questa sia una dote rara nel campo musicale, dove vedi tutti intenti a compilare dati tecnici incomprensibili e a dar notizia di fatti musicali, solo musicali mi raccomando, e a ignorare il pensiero divergente, il pensiero ribollente, il pensiero innovatore, il pensiero regressivo che ci sono nella musica come in ogni arte e come dappertutto.
Nel libro di suoi scritti che ora esce da Quodlibet Scodanibbio mostra in maniera chiara questa sua vorace propensione a osservare, conoscere, giudicare, prender parte, godere a tutto campo. Oltre la musica, oltre quel suo impegno, spesso febbrile, di suonare il suo strumento «fuori formato», il suo strumento incluso solo in epoca recente nella produzione importante di grandi autori: il contrabbasso. L’impegno di interpretare le musiche proprie e di altri (sempre più le proprie col passar del tempo). E poi l’impegno di interpretare il vivere con la scrittura sul pentagramma (matita e gomma, alla vecchia maniera) quanto e più della «scrittura», a volte istantanea, non fissata su carta, della mano che impugna l’archetto e delle dita direttamente sulle corde e sulla cassa dell’immane macchina sonora. Una macchina-corpo, così adatta a diventare corpo in fusione col corpo dell’interprete – di quell’interprete – come nota nella prefazione Giorgio Agamben, curatore del volume insieme a Maresa Scodanibbio, compagna di una vita di Stefano.
Al sodalizio intellettuale, all’amicizia, alla frequentazione con Agamben il musicista-scrittore morto in giovane età (nel 2012 a Cuernavaca, in Messico, uno dei suoi luoghi d’elezione, lo stesso del Lowry di Sotto il vulcano) dedica un capitolo dei Ritratti ed echi, titolo della prima breve parte del libro, così come breve è la terza parte, Note ai pezzi, mentre la parte centrale, Taccuini 1977-2011, è la più estesa in numero di pagine e in quantità e densità (e ricercatezza letteraria) delle riflessioni. Sarebbe interessante e divertente scommettere sulla corrispondenza tra il celebre slogan agambeniano, «potenza destituente», e la musica di Scodanibbio, e la sua poetica. Più vicina a questa ipotesi filosofico-politica o più vicina a quella di un Antonio Negri col suo slogan «potere costituente»? Si sa che nelle aree del pensiero antagonista questi due slogan sono agitati spesso come antitetici.
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