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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2013
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Una cosa mi chiedo sempre in questi casi: ma se hai appena vinto uno Strega (con merito o meno), non pensi di dover poi tenere alto il livello dei tuoi testi? Evidentemente no. E' il primo libro che leggo di Nesi e se sono tutti così sicuramente non ne leggerò altri. "Le nostre vite senza ieri" non è un romanzo né un saggio né un'autobiografia né un diario. E' un'accozzaglia di pensieri sparsi, buttati giù senza un filo logico. E dire che era partito bene (con il primo capito che lasciava intravedere un barlume di romanzo lineare), per poi svoltare bruscamente con 3 capitoli su un tale Ivo Barrocciai che perde l'azienda e finisce in un ospizio e di cui nulla più si sa. Il testo prosegue poi con altri capitoletti che sono considerazioni generali, alquanto trite e ritrite, sui problemi dell'economia e della politica italiana attuali, una sorta di chiacchiere da bar. Il tutto si conclude con una bella descrizione di cronaca familiare: padre e figlio ad una partita del Milan (che in alcuni passaggi mi ha anche quasi commosso... Nesi, ma perchè non hai scritto solo di questo?). Un'ultima considerazione, sicuramente irrilevante: non ho capito il senso della frase "mai contro di te" che campeggia al centro della pagina successiva a quella dei Ringraziamenti. Boh.
Mi sono avvicinato a Le Nostre Vite Senza ieri di Edoardo Nesi con diffidenza , dato che pensavo si trattasse di un saggio speculatorio dopo libro che aveva vinto lo Strega. Lo è in gran parte, ma è più riuscito di Storia della Mia Gente. Il limite è sempre quello di denunciare la globalizzazione, che impone lavoratori stranieri a scapito degli italiani. Il concetto è autoreferenziale: Nesi perse l'azienda paterna di tessuti a Prato "per colpa" dei cinesi. Ad ogni modo lo scrittore si riscatta, almeno in parte, con un reportage dal respiro più ampio, aggiornato alla cronaca più recente. L'autore non crede nel governo tecnico di Monti e spiega perché. La parte più riuscita è però quella iniziale e il finale. L'incipit parla di un industriale sull'orlo del fallimento "miracolato" da risvolti di cambio- lira nel 1995. Ritroviamo tale industriale in casa di cura per malattie psichiatriche alle prese con un monologo-analisi, critico sulla società dei consumi e il suo declino. Nesi abbonda di particolari anche trash insistendo sulla flatulenza (chiamata "scorreggiare) dell'industriale, persistendo sulla descrizione del cattivo odore e il disagio delle scorregge procurate da comportamenti ansiogeni. Nel finale si descrive il rapporto col figlio 15enne durante una partita di calcio; il quadro riesce grazie a una scrittura definita e alla descrizione di un frammento di vita impregnato di felicità. In mezzo anche la cronaca delle sartine morte durante il crollo di un palazzo a Barletta nel 2011. E un giovane lettore incontrato durante una presentazione, al quale Nesi risponde a distanza di tempo, in un confronto su diverse idee inerenti lo sviluppo della civiltà moderna. In mezzo c'è molto narcisismo, gusti musicali come in Storia della mia gente e non poca autocommiserazione. Ma nell'insieme il saggio si fa leggere, anche se Edoardo Nesi è tutto fuorché un romanziere.
Un testo che è il sequel di "Storie della mia gente", qui Nesi affronta le stesse tematiche del libro citato, con la consapevolezza però di aver raggiunto un grosso traguardo da un punto di vista della realizzazione personale e sfrutta questo proscenio per farsi ascoltare soprattutto dalle nuove generazioni. Infatti il libro si fa apprezzare, a mio parere, proprio perché lo scrittore vuole offrire ai giovani e ai lettori in generale tutta la sua esperienza sia come ex proprietario di un'azienda tessile ,e attualmente assessore nel suo comune, che soprattutto ormai come autore affermato. I consigli e gli ammonimenti che Nesi dà attraverso queste pagine riguardano fondamentalmente due aspetti: 1)Il discorso dello sviluppo economico, affrontato con preparazione e conoscenza, da sottolineare le pagine in cui l'autore affronta il tema della globalizzazione selvaggia e senza diritti. Molto acuto Nesi quando ci narra di esperienze personali a riguardo, in particolar modo l'autore non trova giusto che il benessere di milioni indiani e cinesi comporti poi come contraltare il licenziamento di centinaia di migliaia di operai italiani 2) La voglia di emergere e di credere nel futuro e soprattutto di investire nei giovani. Molto belle le pagine in cui Nesi ipotizza una società italiana dinamica e attenta e coinvolta sotto tutti i punti di vista , dal sociale, alla politica, ai bisogni comuni, fino ad arrivare al punto chiave cioè: lo sviluppo economico. Da rimarcare a tal proprosito le pagine in cui Nesi ci racconta delle sue esperienze da oratore, sia nelle biblioteche e nei luoghi dedicati alla cultura, che nelle fabbriche con le descrizioni molto particolareggiate degli uditori, cioè i ragazzi neoassunti. Ultima postilla, che non posso tralasciare, e che a mio parere rende queste pagine ancora più ricche da un punto di vista emotivo/emozionale, riguarda le digressioni in cui lo scrittore ci narra di esperienze personali(lo stadio col figlio) e l'ammirazione verso gli USA
Recensioni
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In una vita senza ieri, tutto è da rifare da capo. Da rifare la scuola dei nostri figli e i programmi scolastici, da rifare il lavoro, anzi, l’idea stessa di avere un unico lavoro o almeno un mestiere da imparare e fare. Da rifare da capo le nostre città, con i loro quartieri ex industriali o i loro campi lasciati all’abbandono e da rifare tutte quelle esperienze che avevano portato le vecchie generazioni a fondare la nostra civiltà. I nostri figli – dice Edoardo Nesi – non hanno nessuna autostrada davanti, ma solo sentieri strettissimi ancora da battere.
Le due citazioni che aprono il libro di Edoardo Nesi, vincitore del Premio Strega 2011 con il romanzo Storia della mia gente, contengono già tutte le ambivalenze del libro, un po’ romanzo un po’ saggio, dedicato al lento progressivo declino della nostra società capitalistica e alla sua fine. Si citano in rapida sequenza Primo Levi: “Amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”, e subito dopo Jim Morrison, che di fronte alla maestosità del deserto disse: "Tutto è in frantumi e danza". Due sguardi probabilmente opposti sullo stesso fenomeno. Il primo carico della nostalgia di chi sa che non è possibile nessun nuovo corso della storia, il secondo della spavalderia di chi, per affrontare un crollo, è disposto a demolire anche tutto il resto.
Far finta che l’ieri non esista è quindi l’unico modo per affrontare il futuro senza temerlo. Non c’è tempo per i ricordi o gli struggimenti, secondo Nesi l’unico gesto veramente sensato che possiamo fare per preservare il futuro dei nostri figli è agire come se fossimo alla fine del modo, scampati a un grande crollo, senza più niente alle nostre spalle.
Prima, però, il passato merita un addio degno, merita un ultimo estremo atto d’amore: inizia così il romanzo di Edoardo Nesi. Siamo a Prato, è il 1995, e Ivo Barrocciai è un giovane imprenditore che deve fare i conti con la Guardia di Finanza. A nulla valgono i consigli del giovane commercialista arrivato apposta da Milano per salvare la situazione. È il miglior tributarista sulla piazza, ma non basta, la sua azienda tessile sta lentamente naufragando, così come molte altre aziende tessili simili alla sua, nate dalla volontà di una piccola imprenditoria familiare e soppiantate dalla competizione al ribasso dei concorrenti cinesi. Una storia carica di amarezza, quella di Ivo Barrocciai, spesso ignorata dalla politica e dalle altre grandi istituzioni economiche, almeno fino a quando le storie come la sua non arrivino a suscitare l’interesse della stampa e dell’opinione pubblica.
Assegnare il Premio Strega al romanzo Storia della mia gente, a un anno dall’uscita in libreria e quasi fuori tempo massimo, è stato un fulmine a ciel sereno per Nesi e per la sua comunità di Prato. È stata quella spinta che mancava per portare alla luce un fenomeno ormai evidente: il fallimento del modello di gestione delle piccole e medie imprese italiane, fondate sull’uso di maestranze qualificate, rispetto a un’economia basata sulla rapidità di adattamento, l’interscambiabilità dei ruoli, la precarietà delle funzioni. Nesi passa rapidamente dal racconto della sua vita, partendo dalle testimonianze dei tanti che hanno vissuto con lui questa esperienza, al saggio di denuncia, in cui si analizza l’andamento dell’economia negli ultimi anni, per giungere alla fine a una vera e propria proposta pratica per superare la crisi in atto.
Un’idea semplice e rivoluzionaria allo stesso tempo, un suggerimento rivolto ai tecnici che hanno in mano le sorti del nostro Paese: questi volenterosi, dice Nesi, dovrebbero trovare il coraggio – e le risorse – per scommettere sulle idee più innovative delle nuove generazioni, finanziandole. Ci vorranno “fede e incoscienza, ragione e sostegno ferreo. Ci vorrà un affratellamento, una vera unità nazionale d’intenti che costringerà tutti a cedere qualcosa in nome del bene comune. Ci vorrà un patto tra le generazioni e ci vorranno anni, ma funzionerà, ne sono sicuro”. Suona un po’ utopico, certo, e per questo ci piace pensare che sia possibile.
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