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Finalmente Severino con quest'opera fa i conti con la critica letteraria che non è mai giunta a stabilire perché Leopardi è un poeta filosofo di altissima statura, che ha saputo riflettere sull'episteme tradizionale, la distruzione dell'espisteme della filosofia moderna e contemporane che cerca di ridemediare alla nullità dell'ente attraverso la potenza della tecnica con la sua inevitabile fine nichilista. Di fronte a tutto ciò Leopardi non sferra una critica, ma mette solo in guardia con i suoi Pensieri, le sue Operette morali e i suoi "Canti", e lo Zibaldone, che l'Occidente è giunto oramai al termine per quel divienire in cui gli enti sono inficiati dal nulla e dall'angoscia dilagante. L'unico baluardo, ma solo temporaneo, è l'opera del genio, colui che unisce la ragione che guarda in faccia la verità del niente (la filosofia) con le illusioni del sistema della natura (la poesia). Ma in questa unità, la forza dell'illusione è consapevole dell'illusione in virtù della ragione annientatrice, ma proprio per questo e l'illusione meno inestirpabile che sapendo cantare la visione verace del niente innalza il mortale al di sopra del nulla quasi rivolgendosi, ma senza raggiungerla, l'eternità. E' questo il canto della Ginestra, il fiore del deserto, che non aspira più a nulla, ma proprio questo emana un profumo che ha il sapore dell'eternità. Non può non cedere alla fede folle dell'Occidente del divenire, eppure sapendo poeticamente il ni-ente è come se si librasse da questa follia al di sopra del nulla medesimo. e caso mai dovesse cedere è perchè in essa risuona inavvertita la Parola della filosofia futura, quella degli Eterni,che da sempre parla inascoltata, lasciando tracce che attendono di essere trovate. Per comprendere appieno quest'opera, occorre aver letto La filosofia futura, Il giogo, Gli abitatori del tempo, ma anche il Destino della necessità e in ultima istanza, libro ancor più difficile di quelli elencati, L'essenza del nichilismo.
In questo libro viene interpretato il pensiero di Leopardi con il linguaggio peculiare di Severino, prima di Nietzsche Leopardi è il filosofo del nichilismo, ogni cosa dall’uomo agli universi esce dal nulla e prima o poi vi rientrerà. Questo fatto porterebbe all’estremo egoismo, che leopardi chiama “la noia”, perché non c’è nulla di eterno, nessun premio o punizione, solo l’angoscia per il futuro. Ma c’è un’altra strada, quella della poesia, che si innalza sul nulla consolandolo, la poesia è come la ginestra che cresce sulle aride sponde del nulla –vulcano, ma vi spande il suo profumo di estrema illusione. Il poeta “sa la verità, ma è come se non la sapesse”, e questo consola e unisce gli uomini in una comunione “contro” il nulla. Libro affascinante, solo nelle ultime righe Severino parla del suo tema costante, della necessità di superare la “follia dell’occidente”, cioè la fede nel divenire, che considera l’inconscio stesso dell’occidente, e che agisce costantemente e oscuramente dal tempo dei filosofi greci fino ai giorni nostri, per ora si limita solo sommessamente ad accennare alla non evidenza del divenire, prospettando ulteriori sviluppi nel successivo volume “Cosa arcana e stupenda”, nel quale continua l’analisi del pensiero di Leopardi (alla luce del suo).
Monumentale è il solo aggettivo che mi viene in mente per questo capolavoro. Il più grande filosofo della contemporaneità (non me ne vogliano i nietzschiani, ma Leopardi fa apparire il tedesco, pur grandissimo, alla stregua di un dilettante) presentato in una maniera sublime da un grande maestro. Eccezionale, uno dei più grandi saggi che ho letto.
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