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Anno edizione: 2011
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Libro interessante, sicuramente da leggere, ma che mi ha un po’ deluso, nel senso che non è sicuramente il miglior romanzo di Malamud, anche se è meglio di molto di quello che si trova abitualmente in libreria. Nella presentazione del libro è scritto che questo è il libro più “Yatesiano” di Malamud, intendendo dire che questo libro ricorda abbastanza le tematiche care a Richard Yates, e credo che ciò sia senz’altro vero. Ma pur adorando Yates, preferisco il Malamud “Malamud”, per intenderci quello dell’”L’uomoo di Kiev”, che a mio giudizio è il suo capolavoro. Il libro è ovviamente scritto bene, è molto scorrevole (io che avevo tempo, perché malato, l’ho letto in un giorno e mezzo) ma mi sembra che gli manchi qualcosa. E’ come se l’autore arrivasse vicinissimo ad una qualcosa (che non se bene nemmeno io come definire) ma senza raggiungerlo mai. Provo a spiegarmi con altre parole: nella descrizione dei personaggi, della loro psicologia, delle loro caratteristiche, l’autore arriva ad un certo punto e poi si ritrae, come se fosse timoroso e reticente ad approfondire la sua descrizione, e quindi il libro scivola un po’ sulla superficie senza approfondire mai troppo. E’ comunque un bel leggere. Consigliato.
Bel romanzo, anche se tocca temi un po' d'altri tempi... per capire come sono le università americane d'oggi bisogna probabilmente leggere DeLillo, certe cose di Lethem... questa è l'accademia americana (per di più di provincia) degli anni cinquanta, un altro mondo... oggi fanno i corsi sul sadomasochismo e sui videogame, figurarsi... però l'ambiente di veleni e rivalità e pugnalate tra i professori, quanto somiglia al nostro ambiente accademico italianoma che è, tutto il mondo è paese?
Più che al magnifico Revolutionary road al quale si avvicina per epoca ed attonita disperazione ma dal quale si discosta quantomeno per la speranza di una potenziale salvezza, per il genere letteratura da campus universitario, come ad es nello stupendo Pnin di Nabokov, un professore spera di cambiare radicalmente la propria vita ma a destinazione deve misurarsi con ristrettezze mentali là dove la cultura andrebbe generosamente fornita, trova bieche gelosie e conflitti, viene invitato a festicciole alcoliche in un circolo troppo chiuso e molto annoiato. Le vicende scolastiche sono talmente dettagliate da rendere la necessaria claustrofobia, la molta attenzione alla natura ed ai cambiamenti su questa per opera del clima accompagnano ansie e ragionamenti in diretta con il protagonista, le sue osservazioni sulle donne con le quali ha a che fare sono in affascinante equilibrio tra maschilismo e pura poesia.
Recensioni
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Minimum fax torna a Bernard Malamud, proponendo dopo il celebre Il migliore (2006),il notevolissimo Una nuova vita, presentato per la prima volta in Italia da Einaudi nel 1963. Al centro della storia c'è l'umanissimo Seymour Levin, che scappa da New York e dall'alcolismo (le prime righe lo definiscono come un ubriacone pentito), verso la piccola città-campus di Marathon, nel lontano stato di Cascadia. Il suo arrivo è degno di un perfetto shlimazel: la moglie di un collega lo bersaglia con uno stufato di tonno rovente, mentre il loro figlio lo inonda di pipì, in una sequenza di atti sempre più grotteschi.
Jonathan Lethem, nella prefazione entusiasta, individua precisamente una genealogia di opere degli stessi anni (il libro venne edito da Farrar, Straus & Giroux nel 1961) legate a un medesimo filo, quello della relazione tra libertà e responsabilità, centrale in Revolutionary Road di Richard Yates, come anche in Lasciarsi andare di Philip Roth. Anche più rilevante è qui il tema dell'esilio dalla metropoli schiacciante, che il protagonista afferma di aver lasciato perché alla ricerca di un cielo, anche se viene subito informato che il suo nuovo domicilio gli offrirà solo pioggia battente per molti mesi all'anno. La letteratura americana è piena di transfughi che cercano la salvezza su sfondi d'Arcadia, regolarmente senza trovarla, come ben ripercorre un interessante volume recente curato da George S. Bush dedicato alla Bucks County, detta The Genius Belt, per la quantità di scrittori che avevano deciso di eleggere quell'area a proprio buen retiro (tra gli altri Dorothy Parker), ma come scopre a proprie spese Margo Channing in Eva contro Eva, una doppia vita tra città e campagna ha dei prezzi da pagare. Altrettanto forte è ovviamente il filone di campus novels, in cui ha un ruolo centrale il mirabile Pnin di Vladimir Nabokov, che, come anche qui accade, recuperava anche memorie personali (Malamud fu a lungo insegnante universitario nell'Oregon).
Magistrale è la pittura di un ambiente ristretto e provinciale, imbevuto di conservatorismo, a cui il protagonista non riesce in alcun modo ad adattarsi; all'arrivo è tra l'altro l'unico scapolo in un mondo di coppie sposate, dimoranti in villette monofamiliari assolutamente identiche, anche se spesso sognano di vivere in un ranch. Egli sbaglia continuamente tutte le regole, in un susseguirsi di regolamenti universitari sempre più barocchi, compie una piccola rivoluzione cambiando un libro di testo considerato vangelo da trent'anni. Lo scrittore osserva una realtà survoltata, in cui si disegnano ritratti magnifici, come quello di Gilley, didatta pedante, che documenta con la propria macchina fotografica tutto quello che non riesce a comprendere, e Fabrikant, dal nome allusivo di una frenetica attività, coltissimo quanto eccentrico. Malamud ha da lungo tempo un posto assicurato nel canone, le sue pagine restano di grande interesse, in un preciso mix tra sarcasmo ed empatia per quello che "è un bel paese, anche se quello che vi accade non è tutto bello".
Luca Scarlini
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