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Giulio Maria uno di noi: almeno una volta nella vita ci siamo sentiti smarriti, estranei, fuori posto come il protagonista. Scorrevole e intelligente, ho riso e riflettuto.
Non mi è piaciuto.
Sono un'estimatore di Serra, Gli Sdraiati mi era piaciuto molto , stavolta sono rimasto un po' deluso. Qualche spunto interessante e originale, ma anche molte ripetizioni e rallentamenti nella narrazione, un po' noioso.
Recensioni
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Giulio Maria o la condizione dello spaesato. Lo spaesato che rumina la sua incertezza, le sue ansie, il suo sgomento. Un antieroe in un teatro senza eroi.
“Sono nient’altro che me stesso in tutta la mia inerte normalità, in un istante casuale tra i tanti che compongono la mia vita.”
Capannonia è un posto come tanti altri in Italia: non una grande città, non un paesello sperduto, non ha particolari attrazioni che lo rendono interessante. Case, persone e industrie, lavoro e monti in lontananza, niente di più e niente di meno; un luogo anonimo, insomma. Ognuno potrebbe vivere a Capannonia, così come ognuno potrebbe essere Giulio Maria, “figlio di Giulio e di Maria”, il protagonista del nuovo non-romanzo di Michele Serra, intitolato appunto “Ognuno potrebbe”. Descritto con risicati dettagli fisici e anagrafici, di fatto ininfluenti ai fini della narrazione, l’unica caratteristica rilevante di Giulio Maria è l’aver ereditato dal padre, grande ebanista, l’attività di lavorazione del legname, i cui costi di gestione, però, pesano come macigni, spingendo il protagonista alla ricerca di nuovi acquirenti.
Giulio Maria, quindi, hic et nunc osserva il suo mondo: non c’è passato né futuro nel romanzo, tutto è frutto delle sue disilluse riflessioni, di fronte agli avvenimenti che capitano in una qualunque quotidianità di un qualunque individuo nel 2015. Il fil rouge che collega tutti gli episodi di questo romanzo, però, è evidente: la sfrenata ossessione egocentrica che domina l’esistenza degli esseri umani, così concentrati su loro stessi da non riuscire a pensare ad altro. Giulio Maria, “rompiballe stabile” (a detta della sua convivente Agnese) con una velata personalità outcast di byroniana memoria, è insofferente nei confronti della degenerazione in atto dei costumi, non sopporta né capisce la spettacolarizzazione della vita, resa forzatamente importante agli occhi di un pubblico virtuale.
Michele Serra descrive una carrellata di personaggi, situazioni e non-luoghi dell’odierna società, in un viaggio senza partenza né arrivo: le storture dell’era digitale sono evidenti, i neologismi sono inseriti in questo mondo così immaginario quanto paradossalmente stereotipato e standardizzato. Gli smartphone sono egòfoni, chi li utilizza compulsivamente e narcisisticamente viene chiamato digitambulo e, se per caso va a sbattere contro un palo o un ciclista mentre è assorbito in questa attività, gli viene diagnosticata la Sindrome da Sguardo Basso.
Non sarà strano, quindi, imbattersi in episodi amaramente comici, come la morte di un cinghiale descritta come una notizia da condividere freneticamente, o come la descrizione di Amos Medardi, “il puntero con riserbo”, il calciatore che esulta con compostezza, che risulta agli occhi di tutti un alieno, un superbo o uno snob. Perché il messaggio che Michele Serra ci dà è proprio questo, circolare e onnipresente: se non acconsentiamo a incasellarci in questa nuova società digitale, se non facciamo nostri i valori che la contraddistinguono, rischiamo di essere tagliati fuori, guardati con sospetto, tacciati di superbia poiché anticonformisti.
In un mondo dove tutti cercano di essere qualcuno, ognuno potrebbe essere nessuno, restando pur sempre se stesso. Ma solo Giulio Maria lo fa, con sorprendente naturalezza.
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