Nell'età del romanzo, Valéry non scrisse romanzi. Eppure, se non fosse per la sdegnosa censura che opponeva a qualsiasi interesse di natura personale, "se si considera umano questo sistema di esporre in pubblico le proprie faccende private", allora meglio dichiararsi "essenzialmente inumano", se non fosse per la caparbia resistenza alla narrazione biografica, all'accumulo di aneddoti, dettagli, istanti (perché gli accidenti di un'esistenza non offrono la minima "luce reale di quanto conferisce valore" a un individuo distinguendolo profondamente da ogni altro), la storia personale di Valéry avrebbe fornito un'eccellente materia romanzesca. Non scrisse romanzi, invece, il dotato autore di provincia che in giovinezza era riuscito a interessare della sua poesia Mallarmé, il più numinoso dei maestri della cultura più consapevolmente universale del tempo, a farsi accogliere dai circoli intellettuali che saranno, "non semplicemente faranno" l'arte del Novecento. Preferì ritirarsi, imprevedibilmente, in una "insularità" intellettuale senza compromessi né cedimenti, votandosi al sacrificio di ogni scrittura pubblica, trasformando la sua suprema coscienza letteraria in rifiuto assoluto della letteratura, delle sue ragioni, seduzioni e celebrazioni: uno dei più romanzeschi casi di quella che Vila-Matasavrebbe definito sindrome di Bartleby. Neppure scrisse un romanzo, quando interruppe gli anni beati del silenzio in realtà: un inesausto (e inesauribile) laboratorio di pensiero (un'officina segreta di letteratura potenziale nella quale "chaque atome de silence / est la chance d'un fruit m¹r") e pubblicò, nella tempesta della prima guerra mondiale, sotto la complice pressione degli antichi amici (Gide, fra tutti), unpoema (un "esercizio", a suo dire) dal significato oscuro, sfuggente e ambiguo, ma dall'incantamento sonoro irresistibile (inseguito da innumerevoli generazioni di traduttori e poeti). I versi della Jeune Parque, come accade solo nei romanzi, mutarono all'improvviso l'oscuro eremita del pensiero in intellettuale alla moda, barattarono la leggerezza dell'anonimato con il peso del successo, permisero di riconoscere nell'iconoclasta negatore della letteratura la sua più celebrata incarnazione nazionale. Valéry non scrisse un romanzo (sperimentò ogni altro genere, desueto o sperimentale, ma non il romanzo) nonostante realmente romanzesche possano apparire tanto le postume peripezie degli inediti ritrovati (con i segreti Cahiers, che cambieranno per sempre il profilo intellettuale del secolo e il tesoro di scritture intime e sperimentali) quanto la storia delle avventure editoriali dei suoi ultimi vent'anni. Seguendo, infatti, la contingenza delle occasioni e la cogenza delle richieste, nel sogno di una poetica innamorata delle varianti ("solutions du même sujet" che mantengono "l'illusione del possibile-a-ogni istante" e rivelano il disinteresse per "i risultati in genere e di conseguenza, le opere " rispetto alla "energia dell'artefice sostanza delle cose cui egli aspira ") e nella sagacia pragmatica di un'accorta disseminazione (l'imperativo economico di uno sfruttamento intensivo della produzione intellettuale), le vicende di pubblicazione si dispongono in una balzachiana Comédie: come personaggi che incontriamo, da prospettive cangianti, in vesti e compagnie mutevoli, ogni parola scritta o pronunciata da Valéry (ogni saggio, ogni discorso, ogni conferenza, ogni verso, ogni segno) migra convulsamente, non solo in innumerevoli prime pubblicazioni ma in una proliferante compilazione di raccolte e raccolte di raccolte (fino alle Opere Complete, che Valéry iniziò a pianificare dal 1931). Di questo complesso e irriducibile, mobile e molteplice universo creativo (il cui centro è in ogni testo ma la circonferenza in nessuno), offre un campionamento tanto ricco quanto profondamente rivelativo il Meridiano di Paul Valéry curato da Maria Teresa Giaveri con una intimità al pensiero dell'autore tanto sensibile ed intellettualmente empatica da riuscire miracolosamente ad accarezzarne la grazia felina, sorniona, sfuggente e irresistibile. Articolata per generi codificati (poesia, dialoghi, teatro e saggistica) e inquieti esperimenti formali di carattere squisitamente personale la prosa poetica (variamente definita dall'autore come Storie infrante, Petits Poèmes Abstraits, Salmi...) e, soprattutto, le invenzioni di "modelli e strumenti del pensiero" (con la prima pubblicazione mondiale della seconda e della terza lezione di poetica al Collège de France) questa imprescindibile edizione italiana apre, infatti, spazi di suggestione, di sfida e scoperta: ogni pagina di Valéry, anche minima, vagabonda o apparentemente di circostanza, ridefinisce il noto come sorprendente, risveglia lo stupore della conoscenza; e bastano la felicità memorabile di un incipit, l'affilata precisione di un aforisma, la sinuosità sensuosa di un'argomentazione per inebriarsi di quella "poesia delle meraviglie e delle emozioni dell'intelletto", che rappresenta l'incanto più profondo e durevole di Valéry (per Valéry stesso). Il Meridiano, tuttavia, permette di essere esplorato in una direzione differente, verificando l'acuta tesi critica che propone (e l'appassionante introduzione narra): l'opera di Paul Valéry è proprio Paul Valéry, le "stagioni della sua vita" e le "relative scelte" tradotte in palpitanti costellazioni di figure eterogenee (storiche, mitiche, finzionali), che si sovrappongono, fondono, succedono: Narciso, Monsieur Teste, Robinson, Leonardo. Se sulla superficie equorea di questi specchi, frangendosi e ricomponendosi, a baluginare resta l'individualità segreta e negata dell'Alcandre potente e misterioso che li evoca, l'opera disvela, infine, sotto la molteplicità delle forme, le ragioni di una profonda unità. I frammenti di scrittura, da latitudini e generi lontani, si rispondono per risonanza, si imitano e sviluppano musicalmente a comporre, per accumulazioni, scarti e derive, una nuova forma letteraria (che sentiamo irresistibilmente nostra) capace di concepire la speculazione come narrazione (o viceversa). In un modo che nessun altro avrebbe potuto concepire ("Ho la strana e pericolosa mania di volere in ogni campo iniziare dall'inizio (vale a dire dal mio personale inizio), cosa che si traduce nel ricominciare, nel fare di nuovo una strada, come se tanti altri non l'avessero già tracciata e percorsa"), con la totalità della sua opera (con la sua opera come totalità), scrisse Valéry il suo romanzo: il romanzo del pensiero che osserva sé (e contiene il mondo): il romanzo dell'intelletto puro, narrato dalle mille voci di chi quell'intelletto poteva comprendere, come se lo avesse inventato. Nicola Ferrari
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