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certo è difficile dare un voto su una storia così raccapricciante. se uno si ferma a riflettere su l'indifferenza e l'inefficienza dello Stato del Messico con tutta la corruzione che vi regna all'interno, mi vengono i brividi ed una grande pena per quelle donne che vengono uccise e per le loro famiglie. Grande merito allo scrittore che ha avuto il coraggio di affrontare un argomento del genere e di notiziare il mondo intero su quello che succede in quella città (visto il rischio che corrono i giornalisti a Ciudad Juarez, che pubblicano articoli o libri in merito a queste vicende).
Una cronaca minuziosa degli omicidi numerosissimi, riscontrati nella zona di confine tra bassa california e mexico. L'ho letto con molta fatica lo devo ammettere mi ha spinto soprattutto per un senso di giustizia ad un olocausto perpetrato a danno di molte donne alle quali l'opinione pubblica ha reso pochissimo onore e omaggio. Vergognoso cio' che lo scrittore/giornalista ha messo alla luce con questo reportage ma piu' vergognoso e' il silenzio dietro a questo grave problema(tranne un film con la Lopez e Banderas anch'esso passato in sordina)
prima di parlare dei libri, bisognerebbe leggerli. o marco ha capacità paranormali, oppure non è chiaro come si pronunci con tanta sicurezza su un titolo di quattrocento pagine in libreria da poche ore. un titolo ottimo, fra l'altro.
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A riunire i pezzi di questo sanguinoso insieme è Sergio González Rodríguez narratore saggista e inviato di "Reforma" importante quotidiano di Città del Messico. Ne è risultato un volume ponderoso ben documentato anche dal punto di vista metodologico con indicazione di fonti e aggiornamento al 2004. Quanto a come esporre le vicende González Rodríguez – sulla scia di osservazioni riconducibili a Ortega y Gasset – ha lasciato ampio spazio alla narrazione. La quale prescindendo "da deduzioni e induzioni per limitarsi semplicemente a esporre è l'unica forma di ragionamento davvero in grado di cogliere le umane realtà". Ma su tutto in questo brano di letteratura tragica che è Ossa nel deserto domina un proposito integro di non dimenticare. Ne fa fede in modo esemplare il capitolo Vite spezzate risolto in una sola lunga lista di nomi o di resti anonimi. Ognuno accompagnato dall'indicazione della causa di morte e del luogo del ritrovamento. Un'opportuna epigrafe presa da Tempo e racconto di Paul Ricoeur recita: "Vi sono crimini da non dimenticare vittime le cui sofferenze vanno narrate ancor più che vendicate. Solo la volontà di non dimenticare può impedire il ripetersi di simili orrori".
Comunque a monte del libro che ha preso vita da tante e tante morti c'è dell'altro da segnalare. La sera del 15 giugno 1999 a Città del Messico in un taxi González Rodríguez veniva aggredito da due individui saliti con la complicità dell'autista. Pochi giorni prima l'autore di Ossa nel deserto aveva pubblicato un primo reportage sulla strage di donne nella città di frontiera chiamando in causa personaggi ritenuti intoccabili. Né l'aggressione si sarebbe rivelata priva di conseguenze. A distanza di due mesi un intervento chirurgico avrebbe dovuto rimediare a un ematoma cerebrale formatosi in seguito alle percosse sul taxi. Ma vincolate a successivi articoli e servizi giornalistici ci sarebbero state anche numerose minacce per far sì che l'indagine personale sui fatti di Ciudad Juárez venisse interrotta. Un reiterato invito a dimenticare quello secondo cui non c'era – né ci sarebbe stata – volontà di dimenticare.
Troppo alto il numero: trecentoventotto donne stuprate torturate ammazzate. Ma ancora più alto se si considera pure il numero di quelle scomparse nello stesso periodo. Che nulla esclude siano state sepolte nel deserto intorno a Ciudad Juárez oppure sciolte in qualche acido o in una gettata di cemento. Queste ultime sarebbero quattrocento secondo un rapporto redatto nel 2003 da Amnesty International intervenuta a denunciare i fatti. Di certo trecentoventotto casi accertati di omicidio seriale ovviamente riconducibili non a uno solo ma a più serial killer. "Si tratterebbe – scrive González Rodríguez – di un'orgia sacrificale di stampo misogino le cui vittime sono cercate e selezionate in modo sistematico (nelle strade nelle fabbriche nei centri commerciali nelle scuole) e che conta sulla protezione e le omissioni delle autorità messicane da oltre un decennio".
Si capisce come esplicitando nomi e circostanze Ossa nel deserto – dopo i reportage e gli articoli – sia un libro contro cui si è voluto intervenire per intralciarne redazione e diffusione. Ma al di là delle responsabilità messe in luce con coraggio le pagine che meglio chiariscono l'accaduto sono quelle in cui il tutto viene affrontato come fenomeno di genere. Lavorando muovendosi in libertà da protezioni maschili le nuove generazioni di donne smettono di essere percepite come mogli e madri. Anzi più autonome in grado di provvedere a se stesse si pongono proprio come l'antitesi dell'immagine tradizionale. È così che agli occhi degli uomini la donna diviene "sporca una cui piace il sesso che guadagna dei soldi e li spende come vuole in divertimenti o vestiti". Il che "rappresenterebbe un focolaio di rancore maschile di una barbarie a volte contenuta altre volte scatenata in tutta la sua furia cieca".
A partire dagli anni novanta a Ciudad Juárez il protagonismo delle donne è irreversibile. Sono loro che dalle zone povere si spostano sulla frontiera a nord facendosi assumere nell'industria della maquila. Sempre più è il caso di madri sole – single divorziate o vedove – che hanno finito per costituire buona parte della forza lavoro. Tutto questo in un territorio dove gli uomini atavicamente non sono disposti a mettersi in discussione e da tempo tendono a organizzarsi in bande fuorilegge o paralegali. Di qui l'esplosione di violenza risoltasi in trecentoventotto omicidi seriali con cui i più forti hanno voluto ribadire la loro forza ai danni delle più deboli.
In tale prospettiva è lo stesso González Rodríguez a sintetizzare significato e portata del suo libro. Che "ricostruisce (…) i tratti di questa maquiladora di sterminio delle donne umili e descrive il modus operandi degli assassini caratterizzato da un odio idiosincratico misogino e radicale sottolineando gli indizi che lasciano intuire il privilegio sociale dei mandanti. In un clima di paure e di minacce le vittime di questa fabbrica di cadaveri in serie sono strumenti di oscuri messaggi in mano a un potere classista e impune. Sangue immolazione e sopraffazione incisi su ciascuno di quei corpi". Non ci sono dubbi: un'analisi condotta con spirito lucido ma anche e soprattutto un atto di giustizia affinché la memoria prevalga sull'oblio.
Alberto Morino
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