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La pacciada. Mangiarebere in Pianura padana - Gianni Brera,Luigi Veronelli - copertina
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Descrizione


Il volume vuole essere un modo di accostarsi a una terra, quella lombarda, che ha avuto in Brera un autentico cantore. A questo "come eravamo" di Brera fa da contrappunto l'esplorazione di Veronelli attraverso le preparazioni culinarie padane. Ricetta dopo ricetta Veronelli compone un affresco mobile della cucina padana dove trovano posto le verze e le anitre, le anguille e il porco. Un libro di ricordi e di sapori, di centinaia di ricette, di singolari amalgame, di nette contrapposizioni che una risata, anzi un risotto (magari giallo con i fegatini) basta a sciogliere. Nel vino, naturalmente.
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Dettagli

1996
28 gennaio 1997
400 p.
9788880891666

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wehrkelt
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Com'è possibile che questo gustoso libretto non abbia trovato finora lo straccio di un recensore, tra i frequentatori di IBS? Con buona pace degli accigliati critici, Brera con lo sport e Veronelli coi cibi hanno costruito alcuni dei brani di prosa più godibili degli anni 60-70 (l'ultimo Brera, disgustato dal calcio moderno e da ciò che lo circonda, non era più lo scintillante polemista degli anni migliori). Fantasia straripante, ironia, amore per le tradizioni e la nostra terra (ma la Padania di Brera non è affatto quella di Bossi). Un libro godibile, non solo per gaudenti Pantagruel. Sfogliatene alcune pagine, se lo vedete in libreria, magari in un Remainder. Vi verrà voglia di leggervelo. E, forse, vi verrà una certa acquolina...

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Voce della critica


recensione di Genta, L., L'Indice 1997, n. 3

Non c'è un filo di "Seta" in questo "Tirature '96". Il che non ci turba affatto, ma va detto subito, essendo stato il romanzo di Baricco la novità più venduta (Tamaro a parte) nell'anno in questione: è un avviso al consumatore, a non assumere con rigidità ragionieristica il titolo del non mai abbastanza lodato repertorio che ormai da oltre un decennio Vittorio Spinazzola e i suoi allievi vanno puntualmente stilando per descrivere e commentare lo stato della nostra editoria. "Finito di stampare" nell'ottobre scorso, non può che recuperare la seconda metà del '95 e fermarsi alla prima del '96, rinuncia alla precisione e alla completezza del bilancio statistico e informativo (in ciò continuando un po' a deludere gli addetti ai lavori, anche se è stata ripresa la buona tradizione di un "Calendario editoriale" in appendice) per privilegiare (a vantaggio del lettore comune) la discorsività, l'analisi del rapporto tra offerta e domanda libraria, le scelte degli editori, le risposte del pubblico, i giudizi della critica.In estrema sintesi: le forze in campo nel mercato.
È questa, da sempre, la parola chiave che lega i numerosi brevi contributi del rapporto-antologia (qui ben trentaquattro). Dunque non il successo di Baricco, ma la decisione dell'Antitrust che proibisce il "prezzo minimo" del libro (e liberalizza gli sconti) appare "forse l'avvenimento più importante dell'annata".Mentre l'informazione dei mass media galvanizza i "casi" quotidiani, "Tirature" (che non a caso, in origine, si intitolava Pubblico) riflette sulle tendenze di medio periodo.Emblematica, in questo contesto, l'intervista di Fabio Gambaro a Mario Spagnol, unico erede della stirpe dei "padroni" (allievo di Bompiani, Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli), lievito della coalizione Longanesi-Utet-Messaggerie (in cui è entrata anche la Garzanti), crescente contraltare al monopolio di Segrate.E Spagnol, si sa, è editore "a scopo di lucro", lascia il "far cultura" agli intellettuali e all'università, considera prioritario "far quadrare i bilanci" e produrre bestseller ("il libraccio vero è quello che non vende").Purtroppo, accusa Giulio Sapelli, la nostra è lungi dall'essere un'"industria editoriale": mercato ristretto, scarsità di risorse tecnologiche, pochi manager in grado di governare la crescita e l'innovazione (anziché solo il riordino e la ristrutturazione), mancanza di una cultura della contabilità e del controllo.
Spinazzola e i suoi (da Barenghi a Clerici, da Falcetto a Pischedda, da Peresson a Cardone, da Cadioli a Bea Marin e Laura Lepri), concordano: smettiamola con i lamenti antimoderni e anticonsumistici: "nessun malessere per l'affermarsi democratico della quantità", un po' di rispetto per i bisogni, i gusti, le attese dei lettori (effettivi e potenziali), "un prodotto medio e mediamente gradevole può essere accettabilissimo".Dice con buon effetto Gianandrea Piccioli in un'altra intervista: non ha senso a priori suddividere "tra parnaso e pattume", l'importante è che i libri (tirino duemila o duecentomila copie) siano "tutti fatti bene".
Così quelli di "Tirature" procedono a obiettiva, variegata e provocatoria disamina, intervallano ad esempio una severa bocciatura della Ortese ("Alonso e i visionari" denota un tessuto narrativo evanescente, traballante, una precarietà sconclusionata, allusioni arcane, ecc.) e un'indulgente assoluzione di Alberoni (il vituperatissimo "Ti amo" non è certo un buon libro, ma non è privo di meriti, "l'alberonismo collabora attivamente alla laicizzazione e secolarizzazione dei comportamenti e delle mentalità nella società italiana di fine millennio").
La loro cernita potrà risultare non poco sorprendente (ma proprio per questo ancor più interessante) per un lettore dell'"Indice", meno abituato ad accompagnarsi con "Le ragazze di carta", dalla Eva Kant compagna di Diabolik alla pornostar Selen; o poco propenso a "Il fai da te della salute" e magari schizzinoso verso le acritiche edizioni de "I Miti" di poesia (e invece, ancora una volta: "tutto quanto aumenta il numero dei lettori non può che essere salutato con entusiamo").
Qui sta il merito di "Tirature": esplorare il mercato, tutto il mercato, girare per edicole e supermarket, e poi navigare in Internet (dove per ora maturano insieme grano e loglio, non esiste alcuna autorità a testimoniare il valore di un testo) o provare i Cd-Rom (certo non sostituitivi del libro, ma in forte espansione, 1290 titoli, un fatturato di 200miliardi). Senza dimenticare per altro i problemi delle nostre polverose biblioteche, dell'editoria universitaria, delle antologie scolastiche "da portare a spalle" (perché incombe il gigantismo, sindrome bulimica dell'insegnante affamato di sussidi e di aggiornamento).
Proprio da questa antideologica, scapigliata attenzione parallela ai consumi alti e bassi è nata forse la decisione di scegliere per sottotitolo e tema introduttivo al volume "La voglia di ridere degli italiani", di indagare la comicità in tutte le sue frange: ed ecco scorrere l'umorismo agro da Flaiano a Fruttero & Lucentini, la satira etico-politica da Guareschi a Serra, Benni, Gino & Michele, le vignette di Altan e Staino, fino ai videoattori trascritti da Paolo Rossi a Teocoli (e qui "Tirature" si rivela efficace "house organ* del suo editore Baldini & Castoldi), con un riguardo particolare per Gene Gnocchi "fumista", che consente di risalire a più letterari esercizi di ironia e di sperimentazione ludico-linguistica.Fino a includervi i giovani scrittori-fenomeno del '96 altrimenti detti "cannibali", da Brizzi ad Ammaniti, da Nove a Scarpa, elogiati per la loro capacità di aderire alla realtà attraverso lo "stravolgimento grottesco". Senza escludervi, proprio per adesione alla realtà, anonimi e pseudonimi di una sdrammatizzante, allegra produzione pornografica, nella cui analisi si cimenta lo stesso Spinazzola.
Resta solo da dire, col senno del '97, che sa di amarognolo ripercorrere i successi del comico mentre hanno appena chiuso riviste come "Cuore" e "Comix". Ma questa non è una smentita di "Tirature", anzi conferma che non bastano buoni autori e buoni testi per fare prodotti in grado di tenere il mercato. Ci vuole quell'industria editoriale invocata a più riprese, quel livello di lavoro intellettuale che non lasci spazio a chi crede (si tenga forte, professor Cases) "che Karl Kraus sia una marca di camicette per signora".

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Conosci l'autore

Gianni Brera

1919, San Zenone al Po (Pavia)

Tra gli appassionati è considerato il più importante giornalista sportivo italiano.Gioânnbrerafucarlo (divertito, si firmava spesso così), a quattordici anni si trasferisce a Milano dalla sorella; qui frequenta il liceo e si allena nelle squadre giovanili del Milan con risultati promettenti. Il calcio, però, porta Brera a trascurare la scuola; il padre così gli impone di ritrasferisi a Pavia per completare gli studi.Nel 1940 frequenta Scienze politiche a Pavia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale è costretto ad arruolarsi; diventa prima ufficiale e poi paracadutista.Durante questi anni ha la possibilità di maturare professionalmente: viene chiamato per alcune collaborazioni giornalistiche presso il Popolo d'Italia e il Resto del...

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