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recensione di Mazzonis, F., L'Indice 1994, n.10
Macroregione che nella sensibilità politica dei nostri giorni suona orgoglioso titolo di appartenenza e assurge a simbolo forte di identità, la Padania si presenta caratterizzata da consistenti elementi di diversità, tanto dal punto di vista dell'ambiente geofisico, quanto da quello dei contenuti e dei modi di produzione. A dare un carattere unitario alla zona compresa tra le risaie del Vercellese e il delta del Po è il prevalere in essa del "mondo dei braccianti": l'esistenza, cioè, prevalente e pervasiva, di un proletariato agricolo salariato gravitante sulle grandi aziende agrarie a produzione capitalistica, che, in quanto tale, è venuto formandosi assieme a esse nel corso del Settecento ed è destinato a durare a lungo sul territorio. Questa caratteristica contribuisce a fare della Padania un 'unicum' in Europa: non solo rispetto agli esempi canonici di Gran Bretagna, Francia e Germania, ma anche nei confronti di regioni che presentano forti elementi di analogia strutturale, come l'Andalusia o le Puglie. Questa "sostanziale permanenza sul territorio" rappresenta il '"prerequisito essenziale' per la costruzione di un senso comune di identità e di 'appartenenza'" e per l'affermarsi di uno spiccato senso della comunità: modelli di cultura e di mentalità che la presenza dominante della cascina padana (al cui interno vita e lavoro si fondono e confondono quotidianamente) consolida e rafforza.
Partendo da queste premesse e fondandosi su una vasta documentazione archivistica e a stampa, Crainz ripercorre la storia dei braccianti padani usando quale chiave di lettura la conflittualità sociale. Una conflittualità certamente condizionata dallo sviluppo dei processi economici (non a caso il decollo è determinato nel 1882 dai primi contraccolpi della crisi agraria), ma fortemente segnata e caratterizzata dai princìpi di "economia morale" (dal prevalere, cioè, della morale sull'economia), che sono espressione e insieme testimonianza di atteggiamenti mentali e culturali di lunga durata, legati a concezioni elementari di giustizia e di difesa dei propri diritti e intrisi "di solidarismo e di durezza talora settaria, di grande tensione egualitaria e di intransigenza nei confronti dei nemici esterni, ma anche di chi incrina dall'interno il fronte comune".
Queste considerazioni ci introducono a un discorso di storia più squisitamente politica, che ci aiuta a meglio comprendere i meccanismi anomali che presiedono al successo di quella che è stata chiamata "la via di Poggibonsi al socialismo": una via fortemente radicata nel proprio contesto rurale (come tutti i dati relativi alle elezioni politiche e amministrative dalla fine dell'Ottocento ai primi anni venti confermano lampantemente) e profondamente connotata al proprio interno dall'intreccio tra un riformismo di schietta matrice classista e un sindacalismo massimalista o rivoluzionario assai più flessibile di quanto la volgata politica (e storiografica) ci abbia tramandato. E le analisi di Crainz stanno anche a indicarci la prospettiva in cui leggere le varie fasi di quella conflittualità e coglierne il significato: da 'La boje!' ai grandi scioperi dell'età giolittiana, al capitolo aperto dall'estremizzazione delle lotte nel primo dopoguerra e dalla sanguinosa violenza squadristica e concluso dopo il 25 aprile dai tragici episodi del "triangolo della morte", fino alla ripresa dei successivi anni quaranta e alla fuga dalle campagne, che, negli anni cinquanta, segna la fine di quella storia e il progressivo e definitivo disgregarsi di quel mondo. E all'inizio e alla fine (1884 e 1951), è la rotta del Po a farla da protagonista: quasi un suggello simbolico apposto dal Padus alle vicende della regione a cui ha dato nome e vita.
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