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Pannunzio è una figura quasi leggendaria. Su di lui esiste un'ampia aneddotica che spesso, però, alimenta la leggenda. Qui si utilizzano le carte da poco versate all'archivio della Camera dei deputati, il che aiuta a passare dalla leggenda alla storia, ricostruendo in modo accurato la biografia del futuro direttore del "Mondo". Dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita per accondiscendere al desiderio paterno, il giovane Pannunzio frequenta la scuola sperimentale di cinematografia e coltiva interessi letterari e artistici. Sono modi con cui afferma la propria personalità al di fuori dell'ambiente familiare. Pure, non si tratta degli svaghi di un ragazzo di buona famiglia, ma di un serio apprendistato. La critica letteraria e cinematografica lo portano, quasi naturalmente, al giornalismo. Proprio nell'esercizio di questo mestiere maturerà l'impegno politico. Per quanto non sia vicino al regime, il giovane giornalista non ha mai fatto opposizione aperta. La censura e la soppressione prima dell'"Omnibus" longanesiano, dove era caporedattore, poi di "Oggi", diretto assieme ad Arrigo Benedetti, e l'esperienza della guerra lo portano all'antifascismo. La meditazione su Tocqueville favorisce un inconfondibile afflato liberale. Pannunzio che, dopo alcuni mesi di carcere, esce da Regina Coeli nel febbraio 1944, non è solo un professionista capace, ma un uomo che ha fatto le sue scelte di vita. Il dopoguerra è la stagione della maturità. Come giornalista firma i suoi capolavori, dirigendo prima il quotidiano del Pli "Risorgimento Liberale" poi il settimanale "Il Mondo". Ma la cifra ultima del suo impegno giornalistico è politica. Prima come liberale, poi nel Partito radicale, ma sempre su posizioni di terza forza, avverse al totalitarismo di destra e di sinistra come al clericalismo.
Maurizio Griffo
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