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Paolo Ciulla, tra la fine del ‘800 ed i primi del ‘900, fu un artista che si dedicò alla falsificazione delle banconote. La sua vita trascorse tra gli studi artistici e la contraffazione. Sperava che, trasferendosi a Parigi, avrebbe potuto vivere della sua vena artistica, ma riuscì soltanto a copiare le grandi opere del Louvre. Andò quindi, come tanti italiani, a cercare fortuna in America Latina. A Buenos Aires lavorò nella tipografia di un giornale argentino ma riprese a falsificare, questa volta i pesos argentini e i dollari americani, subendone le conseguenze. Condannato, fu rinchiuso in un manicomio giudiziario, poiché riconosciuto affetto da “delirio di grandezza”. La sua famiglia riuscì a farlo rimpatriare dopo quasi sette anni di detenzione, nella speranza che potesse iniziare in Sicilia una nuova vita ma, rimesso piede a Catania, Ciulla tornò a realizzare e stampare banconote in lire, in concorrenza con la Banca d’Italia. Il desiderio di riscatto dalle molteplici delusioni, le sue doti straordinarie di pittore copiatore, fotografo, disegnatore e incisore, ne fecero uno dei più abili e pericolosi falsari della storia italiana, con molti riflessi anche all’estero, tanto che il Governo degli Stati Uniti inviò a Palermo, per indagare, il Capo della polizia italiana di New York. Fu solo dopo una fortuita incursione nella sua abitazione che venne scoperto il suo vero capolavoro, le 500 lire, il falso perfetto che avrebbe dovuto rappresentare il riconoscimento della sua “eccellenza artistica”. Fu memorabile come si rivolse al Procuratore del Re, giunto per interrogarlo subito dopo il suo arresto: “Lei, quando parla con un artista, con un grande artista, si tolga il cappello, illustrissimo signor Procuratore del Re!”...
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