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L'unica ragion sufficiente che rende questo libretto appena tollerabile è la confusa, rapsodica digressione su Flaubert, con tanto di liste puntate e numerate delle sue ossessioni, citazioni, aforismi, curiosità, cianfrusaglie varie, e una messe di maldicenze. La questione del pappagallo, poi, è noiosa come la conversazione di Charles Bovary. Quando non al puro pettegolezzo, Barnes insiste sull'illustrazione morbosa dei vizi dello scrittore, con focus ruffiano sui soliti pruriti sessuomani (che palle, verrebbe da dire). Per il resto, la parte romanzo è, a essere generosi, pari a zero.
Non so bene come commentare questo libro, se non dicendo che mi è piaciuto moltissimo, nonostante ogni aspettativa. Il tema è quello caro a Barnes (è possibile ridurre un'esistenza a una narrazione oggettiva e finita?); e lo scrittore crea un romanzo decisamente postmoderno, che in parte è una biografia di Flaubert, in cui la narrazione si articola anche in lemmi del dizionario, linee del tempo, tracce di esami... Che gioiellino.
Leggendo questo racconto si imparano un sacco di cose sul conto di Gustave Flaubert, anche se l'autore, nell'appendice del 2005, specifica che, quando mise mano al libro, " l'unica cosa di cui ero certo era il tipo di libro che non volevo: una qualsiasi forma di biografia, per esempio...". C'è riuscito benissimo. Il libro è pieno di ironia, memorabile, a proposito dei suoi scrittori preferiti, è la battuta su Virginia Woolf: " ho messo da parte Virginia Woolf per quando sarò morto", oppure: " non bisogna accostarsi a un libro per cercarvi pillole di saggezza morale o sociale, la letteratura non ha niente a che fare con la farmacopea." Leggere questo libro è stato un vero piacere.
Recensioni
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