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Anno edizione: 2006
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breve racconto-saggio sul sommo Walser. La prosa di Sabald riesce ad ipnotizzare ancora. Un piccolo gioiello di appassionata e devota riconoscenza verso il grande "silenzioso" poeta svizzero.
Gli scritti di Sebald m'hanno sempre appassionato, pur non essendo io un "germanista". La prima lettura d'uno scritto di Sebald è avvenuta in modo puramente casuale, sulla spinta d'una recensione letta da qualche parte. Poi, man mano che venivano pubblicate suenuove cose in lingua italiana, non mancavo mai di leggerle. La prosa di Sebald, pensosa e molto interiore, non offre alcuna concessione a ciò che è futile e mondano; è, in fondo,la costante esplorazione della memoria. In fondo, a parte "Austerlitz" che ha una sua più precisa autonomia, in nessuno degli scritti di Sebald v'è una storia, ma prevalentemente si tratta di "divagazioni", di "percorsi" che s'accendono sulla base di associazioni di idee e durante interminabili camminate solitarie: sembrerebbe che, in Sebald, passeggiare possa essere una cruciale metafora dell'esistenza. Non a caso in questo libricino egli affronta una figura letteraria che gli è indubbiamente molto congeniale. Il ritratto di Robert Walser, con l'auisilio d'alcune antiche foto viene tratteggiato, in parte attraverso una rappresentazione dei suoi percorsi, in parte per mezzo di citazioni sparse dei suoi scritti. Robert Walser, caduto nell'oblio letterario e poi recuperato, è un personaggio iconico della solitudine dei nostri tempi, per cui - come probabilmente per Benjamin in modi diversi - la scrittura quotidiana aveva una funzione fondante, quasi ontologica. Leggendo il breve, eppur denso, scrittto di Sebald si percepisce in modo netto che egli, nel dare un tributo alla sua figura, lo sente molto affine a sé: in questa capacità di dire e raccontare tanto, ma sempre celandosi. Si percepiscono, nelle parole di Sebald, la malinconia, la tristezza e,nello stesso tempo, il fascino d'una vita trascorsa "passeggiando" tra i propri pensieri in una dimensione, parallela ma lontanissima, da quella in cui si svolgono le esistenze "ordinarie" della maggior parte della gente. Traspare anche l'esaltazione della scrittura come mezzo autoterapeutico e di omeostasi del proprio equilibrio interiore.
Recensioni
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Sebald, nato in Svizzera a Wertach (Allgäu) nel 1944 e morto in Inghilterra nel 2001, preferiva non usare i suoi nomi di battesimo, Winfried Georg Maximilian, perché detestava in particolare il primo, un "vero nome da nazista". Fu attivo come scrittore e insegnante di letteratura tedesca prima a Manchester e poi a Norwich, interessandosi soprattutto a personaggi di "emigrati" (Die Ausgewanderten, 1992; Gli emigrati, Bompiani, 2000) che come lui cercavano in terra straniera un modo per ritrovare il proprio orientamento. In queste poche pagine (impeccabile la traduzione italiana) presenta un ritratto esauriente del suo conterraneo Robert Walser, tutto basato su riferimenti tangibili: i dati biografici essenziali, alcune citazioni ben scelte, qualche illustrazione e una serie di considerazioni in parte letterarie Keller e Kleist, Gogol' e Nabokov e in parte autobiografiche, ispirate a quell'eco profonda e talvolta inspiegabile, a quella sensazione di affinità che Walser riesce a suscitare in vario modo nei suoi lettori. Sebald sa esporre con grande chiarezza le sue particolari motivazioni: le fotografie raffiguranti Walser in diversi momenti della sua vita si affiancano a fotografie tratte dal proprio album di famiglia, in cui la figura del nonno, Joseph Engelhofer, tiene per mano lo scrittore bambino durante le lunghe escursioni fatte insieme, negli stessi anni e in paesaggi assai simili a quelli dell'Appenzell di Walser. La stessa sensazione di affinità profonda nasce poi anche dal contatto diretto con i testi walseriani, in cui "le cose si danno sempre rapidamente il cambio", ma dove regna per contro una "sottomissione assoluta dello scrittore alla lingua", un virtuosismo supremo che realizza "il compimento di quell'ironia che i romantici tedeschi sempre e soltanto presagirono". Così, il ritrovare nella pagina walseriana un'espressione identica a quella che era nata come una propria creazione spontanea provoca in lui la sensazione "che, da quell'altra pagina, qualcuno ti faccia un cenno di richiamo".
Renata Buzzo Màrgari
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