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[...] Quasi come in alcuni scritti di Borges, troviamo una specie di enciclopedia di “luoghi immaginari”, o immaginati, in cui la realtà tangibile è amplificata sino a mostrare tra le sue pieghe qualcosa di inconsulto, quasi misterioso. Spesso i luoghi sondati sono luoghi dell’anima dei protagonisti delle brevi vicende, in cui le persone sono còlte, come in una fotografia, in momenti che nell’andare delle vite possono apparire comuni, ma, immobilizzati ed analizzati, mostrano dei lati sorprendenti. Le brevi storie si svolgono a cavallo dei due mondi dell’autore, l’Italia, in particolare la Toscana, ed il Sudamerica, a volte separatamente, altre come due polarità, due luoghi tra cui le anime si muovono e ricevendo una differente luce mostrano aspetti imprevisti. In alcuni racconti viene descritto un futuro poco distante, probabile, in cui aberrazioni dell’ordinario crescono a dismisura sino a produrre mostri, apparendo talvolta come un monito di salvaguardia per le generazioni future. Spesso a serpeggiare tra le pagine del libro è la solitudine, ancestrale, quasi mostruosa, soprattutto per persone che non sanno più dove è la loro casa, oppure creata da loro stessi, mediante artifizi o chiusure mentali. Ciò che appare come elemento vivificatore per l’autore è la natura, che può salvare, attraverso un rituale magico, o restare elemento immutabile in cui la memoria si conserva, o come esempio da cui trarre insegnamento come ne “La feritoia e il volo”. Nelle pagine fa spesso capolino la morte, o la malattia, ma appare non come tragedia ma come stato del divenire, come passaggio, forse verso la natura o uno stato elementare più consono alla persona. Splendido è il racconto che apre la raccolta “Hotel Till” in cui insieme al desiderio un ragazzo scopre l’orrore, un orrore tutto umano, ancora una volta, creato dagli uomini e quasi mitigato, ma non inosservato, dalla natura. Ogni racconto è come un universo che si crea e si disfa nel volgere di poche pagine, ma non per questo appare meno concreto, o irreale [...]
L’immagine che si fissa nella mente dopo le prime pagine di questa raccolta è quella del protagonista del primo racconto che, presa la bici, s’inerpica sui monti degli “Aghi Neri”, ancora segnati dalla neve e va all’Hotel Till, spintovi dalla bellezza di una ragazza che gli è entrata nel cuore, Carminha. Questa ragazza è associata nella memoria del protagonista al verso di un uccello di quei luoghi, il Ben Tivì; così noi riceviamo la sensazione che tutto quanto avviene nella nostra vita non si perde mai, non solo perché conservato nella memoria, ma perché esso si è trasferito per sempre nella natura. C’è, ossia, nel complicato sistema dell’esistenza un meccanismo di eternità non percepibile sempre, che resterà anche quando chi ancora lo conserva nella sua memoria sarà scomparso. In questi ventuno racconti si percepisce, infatti, l’atmosfera rarefatta della ricerca del mistero che avvolge, e spesso determina, i comportamenti umani, siano essi grandi o piccoli, gesti unici o quotidiani, la cui inspiegabilità sottomette ed umilia la nostra spavalderia e ci rende esseri piccoli e vulnerabili. L’osservazione della realtà è l’imput con il quale l’autore costruisce i suoi racconti, che nel momento della loro articolazione si distaccano dalla realtà, dal tempo e dallo spazio che li hanno generati per involarsi in un altrove indefinibile, e che forse sta perfino dentro ciascuno di noi. Non sempre questo risultato è conseguito felicemente, e gli esiti migliori si hanno – come accade nel primo racconto ricordato – allorquando la tensione ideale si accompagna e si esprime per il mezzo di una memoria che il ricordo trasfigura e rende universale. “La passione del vuoto”, che è il racconto che dà il titolo alla raccolta, nel momento in cui la denuncia e la lezione morale che ne scaturisce si fanno troppo pregnanti e dolorose, ossia troppo esplicite – come accade anche in “Istantanee italiane” e ne “L’irruzione”- di una contemporaneità tutta ancora da scoprire, non riesce a far recuperare compiutamente alla memoria quell
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