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La narrativa potente di due grandi scrittori in un libro che si legge con la facilità e la soddisfazione con cui si raccolgono i mirtilli, grazie alla struttura classica e accattivante del sillabario.
Parlare di montagna equivale a parlare dell'intera esistenza, e di come in essa si intende prendere posto. E amare la montagna significa stare al mondo con franchezza, desiderio di avventura, accortezza e spirito di solidarietà, rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni. Mauro Corona e Matteo Righetto danno voce a ciò che per loro la montagna rappresenta, attingendo a un ricchissimo tesoro di esperienze personali, qui condensate in brevi racconti, epigrammi fulminanti, descrizioni di paesaggi naturali di bellezza inesprimibile. In queste pagine troviamo l'asprezza della roccia e la sfida delle vette, ma anche la carezza accogliente dei boschi, il ritmo lento del passeggiare; i ricordi vivissimi di un tempo che non esiste più e la consapevolezza urgente delle responsabilità da assumersi perché gli ambienti naturali possano sopravvivere ed essere il futuro dei nostri figli. La narrativa potente di due grandi scrittori in un libro che si legge con la facilità e la soddisfazione con cui si raccolgono i mirtilli, grazie alla struttura classica e accattivante del sillabario.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Corona e Righetto danno voce a ciò che per loro rappresenta la montagna attraverso brevi racconti, epigrammi fulminanti, descrizioni di paesaggi naturali di bellezza inesprimibile.
Servono due distinte valutazioni. La parte affidata a Corona è scritta con buona mano e si legge con piacere: belli i ricordi e le descrizion (4 stelle). La parte affidata a Righetto è noiosa e pedante. L'autore trova il modo di sottoporre continuamente banali "perle di saggezza" e consigli morali, come un maestro di vita. Stucchevole. (1 stella)
Questo libro si può definire come un “dizionario della montagna”, dove per montagna non si intende solo la roccia aspra a cui il nome ci fa subito pensare ma si comprendono anche i boschi, gli animali, le tradizioni. E attraverso storie di vita vissuta, ricordi di bambino ed esperienze personali i due scrittori, che sono legati alla montagna uno per nascita e uno per passione, ci raccontano come la montagna è metafora della vita. Ogni parola contenuta in questo sillabario ci induce ad una riflessione che va ben oltre il vocabolo stesso Così la descrizione del “Camoscio” ci racconta di come è cambiata la figura del padre nella società odierna, quella del “Gregge” ci invita a diventare individualità pensanti senza per forza adeguarsi a ciò che ci dice la massa, quella di “Kodar” (il recipiente intagliato ne legno dentro il quale si conservava la pietra per affilare la lama della falce) ci ricorda che riconoscere i meriti di chi ci ha aiutato a raggiungere un obiettivo è fondamentale. Mi piace avere il libro sempre a portata di mano, perché dopo una prima lettura completa, aprire una pagina a caso e riscoprire una delle definizioni mi rimette in pace con il mondo. Sarà perché il mio amore per la montagna mi fa totalmente immergere nell’atmosfera che queste righe evocano, ma credo sia anche perché questo scritto mi ricorda che nella vita come tra le vette bisogna avere sempre una grande lucidità e non dimenticare che non si smette di imparare. Anche, o forse soprattutto, dall’ambiente che ci circonda. Come ultima cosa, ho molto apprezzato l’idea di scrivere a quattro mani. Perché evidenzia come ci possano avere due modi di raccontare completamente opposti una cosa che si ama. Nonostante non ci regali solo cose belle ma ci metta di fronte al dolore in più occasioni.
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