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Libro presentato da Ottavia Piccolo nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2025.
Menzione speciale della XXXVII Edizione del Premio Calvino, un romanzo che ci invita a riflettere sul nostro passato e sul nostro presente, sulla nostra identità e sul nostro senso di appartenenza.
«Devi sapere che a quell’epoca eravamo nascosti in campagna», aveva detto con la sua voce sottile, che faticava a farsi strada oltre il ronzio insistente della macchina. Elias ascoltava, rannicchiato in una poltrona. I suoi occhi indovinavano la figura di lei sopra il letto rifatto.
Elias, giovane musicista, dopo la morte della nonna inizia a essere perseguitato da un'«ombra». Ma cos'è? E cosa vuole da lui? Lo segue ovunque, nelle atmosfere surreali delle discoteche dove suona, nei vicoli medievali di Ferrara, fino alla casa di famiglia che custodisce memorie antiche. Ed è proprio lì, in quelle stanze polverose dove Elias decide di riscoprire le proprie radici ebraiche, che l'ombra sembra unirsi ad altre ombre e il passato inizia a prendere forma. In una narrazione dalla struttura articolata, con frequenti salti temporali e flashback, le vicissitudini di Elias si intrecciano con quelle dei Fink e dei Bassani - dall'arrivo in Italia dei bisnonni alla tragedia della seconda guerra mondiale, con la deportazione ad Auschwitz - creando un racconto intimo e coinvolgente, un mondo fatto di ricordi, emozioni e riflessioni in cui la presa di coscienza, spesso sofferta, di ciò che è accaduto si alterna ai toni della commedia e all'autoironia. Tra le grandi tragedie della Storia e piccole scene di comicità, fra demoni che ballano sul cubo e un anziano poeta circondato da gatti, fra sinagoghe, bombe e una circoncisione tardiva, Patrilineare. Una storia di fantasmi è un libro che ci tocca nel profondo e ci aiuta a comprendere quanto le storie di chi ci ha preceduto siano parte integrante di chi siamo.
Proposto da Ottavia Piccolo al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione: «Patrilineare. Una storia di fantasmi di Enrico Fink (Lindau) è un originale intreccio fra autobiografia e storia familiare, in cui la personalissima vicenda “di formazione” del giovane Elias finisce per abbracciare i grandi temi della storia del ‘900 italiano. Ciò che mi ha affascinato da subito è la qualità della scrittura, del linguaggio: anzi, dei linguaggi, dato che il romanzo si muove sapientemente fra registri diversi, sempre guidato da un’ironia a tratti spiazzante, ma capace di condurre il lettore verso il cuore del racconto. Così le (dis)avventure di un giovane musicista che suona il flauto fra procaci cubiste in allucinanti discoteche finiscono per trasportarci fino alla Gorizia della Prima guerra mondiale, e poi alla Ferrara ebraica all’epoca delle persecuzioni nazifasciste, per poi tornare ai giorni nostri e affrontare quella che è l’urgenza del narratore, il rapporto fra la memoria e una identità da costruire. Fink si muove fra riferimenti letterari espliciti (Bassani su tutti, citato più volte nel romanzo) e sotterranei, giocando con stili e tecniche narrative, ma senza mai perdere di vista l’obiettivo del romanzo, e il suo centro emotivo, ovvero l’infanzia in clandestinità del padre dell’autore, il critico Guido Fink, mentre la sua famiglia veniva inghiottita dalla furia nazifascista. È un romanzo che trovo bello e anche forse necessario in quest’epoca di conflitto, una rilettura in chiave attuale delle memorie familiari, delle tradizioni, del peso delle identità trasmesse, nel tentativo di costruzione di un futuro individuale e collettivo.»
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