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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2015
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Piccoli capolavori di un grandissimo scrittore. Tutte le declinazioni umane della grande guerra: dal dramma al comico, dalla farsa al paradossale. Piacevolissimo libro.
Libro breve ma intenso: quattro racconti, uno più bello dell'altro. Sono rimasto colpito in particolare dal secondo, "Il rifugio", dove, in un crescendo straordinario, il protagonista e voce narrante, testimone al fronte delle intemperanze di un disertore, poi fucilato, si ritrova suo malgrado, ospitato dai poveri genitori del fedifrago. Questi, del tutto ignari delle malefatte del figlio che vanta, con ignominia, comportamenti meritevoli di medaglia e millanta atti di eroismo, scrivendo lettere a casa con richiesta di denaro, nell'ospitare l'ufficiale, vengono a sapere che appartiene allo stesso reggimento, medesima compagnia del figlio. Commoventi le parole della povera madre, generose le parole del padre. Bellissime tutte le descrizioni: il viaggio in macchina, l'umile casa. Toccanti i passaggi che precedono la fucilazione. Da leggere.
Premetto che il primo dei brani, intitolato La paura e che dà il titolo all'intera opera è un autentico capolavoro e da solo giustifica ampiamente la lettura di questo libro. La paura nella sua trama è tutto sommato semplice. In un tratto del fronte, da tempo del tutto calmo, c'é una postazione avanzata ed esposta in cui è necessaria la costante presenza di una vedetta che possa osservare se da lì possa venire l'attacco del nemico. In un giorno come tanti e come sempre ogni due ore avviene il cambio, ma ecco che chi monta viene ucciso o comunque ferito gravemente da un cecchino e anche quelli che nell'ordine vanno all'appostamento fanno la stessa fine. L'attesa dei predestinati, il lacerante contrasto intimo dell'ufficiale, combattuto fra il senso del dovere e l'angoscia per la sorte dei suoi uomini, l'implacabile freddezza del cecchino che non si scompone nemmeno di fronte a un bombardamento della nostra artiglieria, le urla strazianti di un ferito segnano queste pagine in un crescendo di tensione che fa sentire il lettore quasi presente, magari pure lui nella fila di quelli che devono andare, con morte pressoché certa, a quel maledetto avamposto. Così la paura serpeggia, si trasmette velocemente come un virus e contagia anche un soldato con la tempra da eroe, portando a una conclusione non liberatrice, ma ancor più angosciante. Qui De Roberto si esprime a livelli elevatissimi e pur tuttavia con semplicità, il che indubbiamente giova alla gradevolezza della lettura, dimostrando ancora una volta le sue capacità di analisi psicologica e facendo di questo racconto un veemente atto d'accusa contro ogni guerra, senza retorica, con la crudele realtà di un fatto forse come tanti, ma estremamente emblematico.
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