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Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento
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Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento

Dettagli

2009
1050 p.
9788887280098

Voce della critica


recensioni di Bongiovanni, B. L'Indice del 1999, n. 05

In una lunga intervista sul noto mensile "A" (febbraio 1999) Giampietro (detto Nico) Berti ha esposto le ragioni, e i percorsi intellettuali, che hanno guidato questa monumentale storia del pensiero anarchico, definita dall'intervistatore un "inevitabile punto fermo con cui chiunque voglia occuparsi dell'anarchismo non può non confrontarsi". Un giudizio da condividere pienamente. Sembra del resto essere questa la storia di un'esperienza concettuale, ed etica, in qualche modo conclusa. Con la guerra civile spagnola (1936-39), che l'autore definisce "rivoluzione spagnola", ebbe infatti termine l'anarchismo "classico". E quindi con gli anni quaranta ha contestualmente termine il bel volume di Berti. Non è chiarissimo se l'anarchismo classico sia stato assassinato (dagli stalinisti a Barcellona nel tragico 1937), sia morto di morte naturale in ragione della secolarizzazione politica poi dispiegatasi, sia stato superato dai progressi congiunti del liberalismo democratico e della socialdemocrazia, sia risorto sotto altre spoglie, tra loro differenti, nella seconda metà del secolo (ecologismo radicale, hippismo, neoindividualismo, neocomunitarismo libertario, anarcocapitalismo, antiautoritarismo sessantottardo, ecc.). Emerge comunque il documentatissimo tragitto di un soggetto socio-politico-culturale che si distanzia e si autonomizza storicamente dal liberalismo e dal socialismo, pur entrando a far parte, senza disconoscere la matrice liberale e antistatale, del complessivo movimento socialista. All'inizio, nel contesto dei Lumi, vi è il pensiero di William Godwin, insieme individualistico ed egualitario. Si passa poi al nichilismo di Stirner, al socialismo di mercato e autogestionario di Proudhon, all'anarchismo rivoluzionario (e populista russo) di Bakunin, al comunismo libertario di Kropotkin, alimentato dal mutuo appoggio. Di grande interesse sono poi le pagine su Malatesta, la cui rilevanza teorica viene efficacemente valorizzata. Desta perplessità l'uso dell'aggettivo "totalitario" a fianco di Marx. Non si può qui entrare nel merito. Basti ricordare che l'aggettivo è nato nel 1923 e che il totalitarismo non è neppure pensabile prima della grande guerra. Utilissime poi le pagine su Reclus, Tolstoj, Ferrer, Borghi. Nella trattazione di Berneri e Rocker viene introdotto con finezza e con competenza il gran tema della critica del bolscevismo e del comunismo autoritario di Stato. Con Merlino e Caffi, pensatori straordinari, le origini liberali sembrano infine risolutamente riaffiorare. Non è però un bel servizio all'anarchismo la conclusione su Bruno Rizzi, lucidissimo analizzatore della folle corsa del mondo verso il collettivismo burocratico, ma - ormai lo sappiamo - sostenitore nel 1939, in nome del "marxismo" revisionato, di un'alleanza tra Stalin, Hitler e Mussolini, questi sì "totalitari", contro il giudaico capitalismo anglo-americano. Era meglio finire con Durruti, mai citato.

Bruno Bongiovanni

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