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Sebbene i vari capitoli, come aveva osservato il professor Odifreddi, siano molto diversi (e spesso slegati) l’uno dall’altro, “Perché non sono cristiano” è un libro accattivante. Molto divertenti il dialogo fra Russell e padre Copleston e l’appendice di Paul Edwards. Riporto qui alcune frasi dell’autore: 1) E’ lusinghiero supporre che l’universo sia regolato da un Essere che ha i nostri stessi gusti e pregiudizi. 2) La via retta è quella ispirata dall’amore e guidata dalla conoscenza. 3) Anche se le finestre spalancate della scienza al primo momento ci fanno rabbrividire, abituati come siamo al confortevole tepore casalingo dei miti tradizionali, alla fine l’aria fresca ci rinvigorirà. 4) Il mondo non ha bisogno di dogmi, ha bisogno di libera ricerca.
E’ filosofia, e a me la filosofia non piace. Ma è una raccolta di scritti chiari, che ti fanno voler bene a questo grande uomo eclettico e scomodissimo. Condivido in pieno le sue posizioni , ma questo è secondario, e apprezzo soprattutto come riesca, a fronte di argomenti tanto elevati, a portare spesso la discussione sul piano pratico e quotidiano.
In uno degli articoli Russell riprende i tradizionali argomenti a sostegno dell'esistenza di Dio e li smonta uno per uno, in maniera molto pacata e lucida, come è tipico del suo stile. Se qualcuno, infatti, cercasse nelle parole di Bertrand Russell la benzina per incendiare la sua furia teoclastica non troverebbe granché: Russell non è Nietzsche, non scrive con animo gonfio di passione, ma è molto britannico nel suo ragionare. Si ha sempre l'impressione di avere a che fare con uno spirito fermo nella sua condanna del cristianesimo, ma mai inutilmente esacerbato. In realtà io mi sono lasciato da tempo alle spalle qualsiasi discussione sull'esistenza di Dio: non credo che esista, non regolo la mia vita su un concetto elaborato dalla mente umana e, al limite, mi stupisco che ci sia gente che creda a quelle che, per me, sono vere e proprie assurdità. Ma riconosco a ciascuno la libertà di credere in ciò che vuole e di aggrapparsi a qualsiasi consolazione ritenga necessaria per sopravvivere. La parte, invece, che trovo più interessante dei vari capitoli del testo di Russell è quella politica, che analizza gli effetti della religione sulla vita sociale e sull'etica, quando questa si fonda, con pretesa universalistica, su una religione che si suppone (e si impone) condivisa dagli appartenenti a un certo corpo sociale. La "fede" di alcuni, quando si pretende valida per tutti, genera inevitabilmente potere e crea strutture di potere: "Non appena le asserzioni di una determinata persona - scrive Russell - divengono verità assolute, c'è tutta una schiera di esperti che, infallibilmente, diventano potenti perché dicono di possedere la chiave della verità, e, come tutte le caste privilegiate, sfruttano il potere a proprio vantaggio. Siccome, poi, il loro compito è la diffusione della verità immutabile e assoluta, diventano necessariamente contrari a qualsiasi progresso intellettuale e morale".
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