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Pietroburgo - Andrej Belyj - copertina
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Pietroburgo

Descrizione


Pietroburgo, 1905. La città è sconvolta dalla tempesta sociale, si moltiplicano i comizi, gli scioperi, gli attentati. Il giovane Nikolaj Apollonovic, che si è incautamente legato a un gruppo rivoluzionario, entra in contatto con Dudkin, nevrotico terrorista nietzscheano, il quale gli affida una minuscola bomba. E il provocatore Lippancenko, doppiogiochista al servizio della polizia zarista e al contempo dei rivoluzionari, gli rivela qual è il suo compito: dovrà far saltare in aria il senatore Apollon Apollonovic, abietto campione dell'assurdità burocratica. Suo padre. È intorno a questo rovente nucleo narrativo che si snodano le vicende surreali e grottesche di "Pietroburgo", unanimemente considerato il capolavoro romanzesco del simbolismo russo. Dove la vera protagonista è tuttavia la "Palmira del Nord": una Pietroburgo maestosa e geometrica solo all'apparenza, edificata su un labile terreno palustre i cui miasmi sgretolano le possenti architetture, le cui brume sfaldano e decompongono ogni comparsa che striscia lungo i vicoli fiocamente illuminati, tra bettole ammuffite e palazzi scrostati. I sommovimenti di inizio secolo, preludio di future tragedie, l'ululato del vento che si incanala lungo le gole del libro, il demoniaco colore giallo dei comizi gremiti di una folla in trance: ogni cosa è in preda a una malefica possessione, che Belyj filtra attraverso la lanterna magica delle immagini.
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Dettagli

2014
1 ottobre 2014
392 p., Brossura
9788845929205

Valutazioni e recensioni

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FLAVIO ALBERTO
Recensioni: 3/5

Un disegno ineluttabile travolge i personaggi del romanzo che si muovono come marionette impazzite lungo il crinale di un burrone, quello che sta per sancire la fine dell'impero zarista. In una città tentacolare e notturna, sotto un cielo fosco (come fosche sono le bandiere, gli stracci, il costume di Nicolaj...), si snoda una trama sfilacciata che non può non rimandare ai Demoni di Dostoevskj., modello insuperabile. Tra lampi e trasfigurazioni, ossessioni e incongruenze, sinistramente profetiche sono le immagini che alludono ai mongoli, agli asiatici, alla minaccia che dall'oriente si sta abbattendo sull'occidente. Magistrali le pagine introduttive di Angelo Maria Ripellino.

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Davide Vitagliano Torre
Recensioni: 5/5

Straordinario!!! Una lettura a tratti un po' complessa, ma parliamo indubbiamente di uno dei più grandi capolavori del '900. La traduzione di Ripellino, poi, è superba come al solito. Non lasciatevi sfuggire questo piccolo gioiellino!!!

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AdrianaT.
Recensioni: 3/5

"'Pietroburgo' è un continuo alternarsi di orgasmo, psicosi, spavento, un groppo di ambasce, incertezze, inquietudini. Come l'intellighenzia russa in quegli anni, i personaggi vivono tutti nell'ansietà di catastrofi, coi nervi tesi, con l'animo inasprito sino all'isteria. Belyj si industria di irritare il lettore, incalzandolo per gineprai psicologici, per giravolte azzardose, investendolo con zaffate di orrori, che si susseguono a ritmo stringente [...]. Vi sono nel romanzo cataste di orrori. Questo Barnum del raccapriccio è insuperabile nell'arte di suscitare vampate di ribrezzo, soffi di repulsione agghiaccianti brividi." Ecco. Meglio di Angelo M. Ripellino, non potevo dire. Alcune descrizioni sono spettacolari; sono dei tetri flash allucinati su anime e luoghi di incredibile fascino e suggestione in cui aleggiano gli afflati di Dostoevskij, Gogol' e Joyce, ma è una lettura, per il mio bagaglio letterario insufficiente, ancora troppo difficile. Non è un romanzo, né un saggio, né una cronaca o un memoriale: è un animale smembrato. "Una scrittura amorfa, sconnessa, traboccante, tutta sgocciolature e incrostazioni, una matassa di impulsi caotici, di ghirigori, di ingorghi limacciosi, di garbugli inestricabili. Un magma verbale in cui schioccano a tratti, con un freddo crepitio elettrico, i cavilli del raziocinio."

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Andrej Belyj

(Mosca 1880-1934) scrittore russo. Laureatosi in matematica e filosofia all’università di Mosca, esordì in campo letterario con una composizione in prosa ritmica (la II Sinfonia, 1903, cui seguirono nel tempo la I, la III e la IV), pervasa dalla fede nell’avvento di una nuova, favolosa era mistica; e con i versi di Oro nell’azzurro (1904), pieni di riferimenti a Nietzsche e all’iconografia romantico-simbolista di Böcklin. Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905, in cui B. (come altri poeti simbolisti) aveva sperato e creduto, egli avviò un ripensamento dell’esperienza mistica, che si riflette fra l’altro nelle liriche di Cenere (1908), le più cupamente realistiche della sua produzione. Il suo primo romanzo, Il colombo d’argento (1909), storia dell’assassinio di un intellettuale da parte...

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