Terza parte di un trittico sulla morte composto da Tanatoparty (Meridiano Zero, 2009) e Madreferro (Perdisa, 2011), Planctus di Laura Liberale affronta il superamento da parte di alcuni pazienti di un improvvisato psicodrammatista. Attraverso varie attività che prevedono la messa in scena dell'evento luttuoso, la sua ripetizione, l'evocazione dei fantasmi che popolano la memoria degli afflitti, Liberale ci accompagna in un viaggio (non solo figurato: i protagonisti viaggiano effettivamente in automobile verso una misteriosa meta) nella sofferenza reale e immaginata, imposta o autoimposta, svelando verità che riguardano ognuno di noi e in cui ogni lettore si identificherà. Il rapporto con la madre, con il disagio psichico, con la morte di un congiunto, con la separazione, sono tematiche universali che scaturiscono da quest'opera corale. Non mancano rabbia e commozione, tuttavia ironia, sarcasmo e momenti di genuina comicità sono preponderanti. Ognuno dei ventitré capitoli di Planctus (tranne quello, brevissimo, conclusivo) è suddiviso in sottosezioni dedicate esplicitamente ai singoli personaggi: la Gotica, il Sopravvissuto, la Maliarda, la Vulnerata. Quattro persone di età e percorsi di vita molto diversi fra loro e apparentemente incompatibili. Altre sottosezioni sono intitolate a questioni tecniche (ad esempio: Principi educativi della relazione con il paziente che muore) dove però Liberale non si esercita nella saggistica, ma stupisce il lettore passando a raccontare altro e tratta le ragioni più intime per cui la voce narrante, un addetto alle pubbliche relazioni recentemente licenziato, si reinventa come "psicodrammatista". L'elemento autobiografico irrompe nella finzione senza tuttavia creare un effetto straniante, ma fondendosi nel libro in modo del tutto naturale. Liberale aveva già trattato del suo lutto nella silloge poetica dedicata alla morte del padre Ballabile terreo (Edizioni d'If, 2011). Anche in quest'ultima opera riverbera l'esperienza poetica di Liberale, nella brevità del dettato, nella lingua evocativa e fortemente connotata, nell'utilizzo di preziosismi, di termini rari o di prestiti dal linguaggio scientifico. Vere e proprie poesie sono i componimenti incastonati nel capitolo XVI, la seconda delle quali definita "pseudoversi" dalla stessa autrice, o il suo "personale adattamento dell'Edda poetica", che, come noto, è un testo allitterante e disadorno, lasciando intendere che la vicenda di Roberto (il Sopravvissuto) è di natura mitica, e riprendendo motivi legati all'origine del dolore dell'uomo. Emergono inoltre in quest'opera (come nelle precedenti) le conoscenze di filosofia indiana, disciplina in cui l'autrice si è specializzata. Claudia Boscolo
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