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Delle sei sezioni che compongono questo elegante volume di versi, le prime due - "Qui" e "Rebus"- sembrano dare l'impronta più profonda e caratterizzante all'intero corpus delle composizioni. "Rebus" in realtà è un capitoletto di una settantina di illuminazioni in prosa che tanto si avvicinano alla poesia nel delineare con tenerezza e pudore la figura del padre dell'autore, un uomo anziano, garbato, che passa il tempo a guardare fuori dalla finestra o a risolvere i rebus, a collezionare francobolli, rassegnato a una sorta di non vita e alla fine che si avvicina ("Scivoliamo via lentamente"), fine che il figlio scrittore chiosa con una domanda crudele e retorica insieme: "Dunque in che modo termina la bellezza?" Alla bellezza Paolo Lanaro, poeta schivo e delicato, dedica i suoi versi migliori: "Ho visto il ricordo tramutarsi/ in un frammento di bellezza", e sembra assaporarla in sorsi brevi, quasi con timore di sciuparla. La trova nei gesti minuti quotidiani, nei pensieri che si affacciano timidi e balenanti, in memorie sfocate, negli incontri più banali. O in affetti (la moglie, i figli, i vicini della scala C) che non diventano mai passioni, ma servono comunque per andare avanti. Così come ancore di salvezza sono le cose piccole che ci circondano, e a cui non si presta mai abbastanza attenzione: l'erba, i fiori sul balcone, i mobili consunti, gli animali: "C'è da chiedersi come si potrebbe/ essere amici di un uccello./ Come si fa a incontrarsi a una certa ora,/ prestarsi le cose, dirgli che l'erba ci piace?"; "Un giorno la lampadina scoppia,/ lasciando il ricordo della luce". Niente ha più valore che trascorrere la giornata in un rituale semplice di azioni ripetute, come nella struggente poesia : "Che c'è da dire?", scandita da successivi "dopo" che elencano i gesti più triti insieme al passare delle ore, al modificarsi dell'ambiente esterno, al succedersi di pensieri e sentimenti diversi.
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