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Libro incluso tra i sette finalisti del Premio Strega 2022
Vincitore del Premio Viareggio-Rèpaci 2021 Opera Prima
E poi saremo salvi è insieme uno straordinario romanzo di formazione, una saga familiare, l'epopea di un popolo; ma è soprattutto il racconto di come una piccola, densa vicenda privata può allargarsi fino a riflettere la tensione umana alla "casa", il posto del cuore in cui ci riconosciamo.
Qualche giorno prima che la nonna morisse, mia madre le aveva chiesto: «Come ti è passata la vita?».
«In un attimo. È entrata in un orecchio ed è uscita dall'altro. Così.» E aveva soffiato piano, come a spegnere una candela invisibile.
Aida ha appena sei anni quando, con la madre, deve fuggire dal piccolo paese in cui è nata e cresciuta. In una notte infinita di buio, di ignoto e di terrore raggiunge il confine con l'Italia, dove incontra il padre. Insieme arrivano a Milano. Mentre i giorni scivolano uno sull'altro, Aida cerca di prendere le misure del nuovo universo. Crescere è ovunque difficile, e lei deve farlo all'improvviso, da sola, perché il trasloco coatto ha rovesciato anche la realtà dei suoi genitori. Nemmeno l'arrivo del fratellino Ibro sa rimettere in ordine le cose: la loro vita è sempre altrove – un altrove che la guerra ha ormai cancellato. Sotto la piena della nostalgia, la sua famiglia si consuma, chi sgretolato dalla rabbia, chi schiacciato dal peso di segreti insopportabili, chi ostaggio di un male inafferrabile. Aida capisce presto che per sopravvivere deve disegnarsi un nuovo orizzonte, anche a costo di un taglio delle radici.
Proposto da Andrea Vitali al Premio Strega 2022 con la seguente motivazione:
«E poi saremo salvi non è solo la storia di Aida, profuga bosniaca che giunge in Italia appena in tempo per sfuggire agli orrori dei massacri. È anche quella di un padre a volte padrone e a volte bambino, di una madre che comprime il profondo e a tratti disperato amore per i figli al punto di dare talvolta l'impressione di essere assente. E infine è anche la storia di due schizofrenie entrambe vere: quella che ha lacerato i Balcani e l'altra, quella che affligge Ibro, il fratello di Aida, un crudo quadro di realtà che in alcuni passaggi diventa un commosso inno alle fragilità dell'essere umano. A ciò si aggiunge il pregio della scrittura di Alessandra Carati che non si concede al di più, non ha tempo da perdere. La storia che narra è una catena priva di anelli deboli o se si preferisce un rosario laico dove ciascun grano va tenuto tra le dita il tempo necessario per meditare ciò che gli spazi bianchi lasciano intendere. Il lettore goloso di novità vi trova di che soddisfare il suo appetito, il neofita potrebbe usare E saremo salvi come viatico per entrare con stupore nel mondo in cui una penna riesce a raccontare il bello e il brutto della vita, i ricatti dei sentimenti, la necessità dell'egoismo quando si sta per affogare. Anche la pace di chi riesce a salvarsi pagando il debito di scelte inevitabili destinate a diventare cicatrice dell'anima. Difficile staccarsi dalle pagine di questo romanzo fino alla silenziosa nevicata che lo chiude, offrendo al lettore l'ennesima sorpresa.»
Ho appena finito di leggere e, a caldo, mi chiedo: perché nessuno ha scritto che la lettura è proprio un gran bel esercizio e trovare un libro così è una gran fortuna? Più di una voce critica invece, a dissentire sullo stile, su una forma più o meno opportuna. Nessuno ha detto di essersi commosso tantissimo.. mi pare strano e davvero ingiusto per un libro così bello. Cercherò di rimediare io allora: appassionante e meravigliosa questa storia, scritta in modo semplice e diretto, efficace e potente. Dissento totalmente quindi dai giudizi negativi, alcuni addirittura lapidari. Per fortuna, o forse perché non erano nemmeno troppo comprensibili, non ne ho tenuto conto. Meno male: mi son fatto proprio un bel regalo; anzi, me/ce lo ha fatto Alessandra Carati che, con ammirazione, sentitamente ringrazio. Complimenti davvero, con i miei voti più alti.
Libro che parla di una guerra rimossa e dimenticata. Anche solo per questo, vale la pena di essere letto. Oltre al fatto che è scritto benissimo.
"E poi saremo salvi" è l'ennesima dimostrazione di quanto sia difficile, e talvolta insormontabile, scavallare l'immensa montagna della prima prova narrativa, il primo romanzo che fa tremare i polsi a chiunque si accinga a intraprendere il mestiere difficile dello scrittore. Il presunto stile lapidario esula da qualsiasi, reale pregnanza lessicale e di immagine. Si incancrenisce, invece, nella difficoltà incontrata da un io narrante mediocre, educato alla prosa anglo-americana asfittica e affetta da stipsi argomentativa, che non sa gestire l'articolazione complessa o comunque articolata del pensiero. Ignota all'autrice la delicatissima e quasi miracolosa trasfusione di quel pensiero, anatomicamente strutturato, nella parola scritta che possa non tradire quell'anatomia. Apprezzabile la scelta del tema anche se serpeggia il dubbio che tale opzione possa essere stata strumentale: la scelta di un tema accattivante e di presa immediata sul pubblico generalista dei lettori. Il dubbio è alimentato dall'ipotesi di trattare secondo le metodiche usate da Alessandra Carati un qualsiasi altro tema. Il risultato sarebbe stato minimo. Elementare e gracile è infatti il metodo d'osservazione e traduzione in prosa col quale è affrontata la vicenda, esile è la voce, scontata la prospettiva sul paesaggio drammatico della fuga e del male di vivere successivo. Sulla scorta di tali considerazioni non sorprende, dunque, che il libro sia stato pubblicato da Mondadori, in lizza tra i finalisti del Premio Strega 2022. Tutto secondo la norma.
Recensioni
Mia madre mi aveva detto che non mancava molto, all’alba saremmo arrivati all’ultimo confine.
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Le sevdah sono delle canzoni popolari bosniache che cantano la tristezza di un passato che non potrà mai più tornare, di una terra che si è stati forzati ad abbandonare di cui si sente una straziante nostalgia.
Alessandra Carati, nel suo romanzo E poi saremo salvi, uno dei dodici finalisti al Premio Strega 2022, intona un’intensa sevdah ai lettori, raccontando la storia di una famiglia musulmana bosniaca emigrata in Italia durante la guerra che ha lacerato i Balcani circa trent’anni fa.
Ho guardato mio padre, lì in piedi, mi sono chiesta cosa sarebbe stato se io e la mamma non fossimo riuscite a incontrarlo e a superare la frontiera insieme. Forse non mi sarei mai trovata continuamente divisa tra un qui e un là, e sarei sulla collina insieme a tutti loro.
Oci moji mili, occhi miei adorati: è così che nella famiglia di Aida si chiamano i propri cari.
Aida ha sei anni e vive nel villaggio con la sua famiglia, ai margini di un bosco fitto dentro il quale ai bambini non è mai stato permesso avventurarsi. Ma Aida è presto costretta ad attraversare quel bosco impenetrabile per scappare dai soldati serbi che stanno per radere al suolo la casa della sua famiglia e i luoghi della comunità musulmana a cui appartiene, dove hanno sempre convissuto serenamente bosniaci e serbi che ora si ritrovano nei due schieramenti opposti.
Il viaggio doloroso di Aida prosegue nelle periferie milanesi, dove adattarsi alla nuova vita da città è un’impresa, resa ancora più difficile dalla vicinanza dei genitori che sognano un ritorno in una Bosnia che non potrà più essere com’era prima della guerra.
Alessandra Carati scrive in tono sincero ed intimo le incessanti difficoltà di una famiglia in fuga, lo struggimento fra un futuro in Italia e un passato incastrato in Bosnia, il dolore lacerante di un fratello che a poco a poco si trova sempre più lontano, al di là del bosco.
Baba aveva un sorriso amaro. <
A quasi trent’anni dal genocidio di Srebrenica, la ferita è ancora aperta nel mezzo del cuore cosmopolita d’Europa, crocevia da sempre di popolazioni, religioni, etnie che hanno trovato una casa nei Balcani.
E poi saremo salvi ci chiede di volgere lo sguardo a un Est molto vicino all’Italia, camminando, piano, fra le macerie ardenti di storie familiari che dobbiamo essere pronti ad ascoltare, in silenzio. Un romanzo in segno bemolle come spesso si trova nelle scale melodiche delle sevdah, che ha la forza, indimenticabile, di ricordi di dolori ancora troppo vicini, immersi nei boschi bosniaci dove l’accesso fino ad oggi è impossibile per via delle mine anti-uomo disperse nel terreno e nei quali si cercano, ancora, le ossa degli amati per dare loro una degna sepoltura in una terra che piange, che commuove e che soprattutto non può aspettare ulteriormente per poter ricostruire.
Il suo cuore conteneva tutti i fiumi, le montagne, le foglie, le nuvole, l’argento della nostra terra. E la nostra terra era così profonda che nessuno avrebbe potuto decifrarla.
Federica Cimminiello
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