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Febbraio 1996: l’ottantasettenne Isaiah Berlin riceve una lettera di Ouyang Kang (docente di filosofia a Wuhan, Cina) che gli chiede un compendio delle sue idee per un volume collettivo sulla filosofia angloamericana contemporanea. Stimolato dalla rilevanza storica, e anche simbolica, dell’iniziativa, Berlin decide di rompere un silenzio creativo di quasi un decennio e comincia a dettare, aiutandosi solo con un foglietto di appunti, i suoi pensieri a un registratore. Il risultato sarà Il mio itinerario intellettuale, ovvero il suo ultimo, memorabile saggio, apparso postumo nel 1998. Giustamente posto da Henry Hardy (che ne aveva limato con l’autore la trascrizione finale) ad apertura del Potere delle idee, Il mio itinerario intellettuale è più di una semplice introduzione al pensiero di Berlin: è una vera e propria cornice che consente di illuminarne retrospettivamente il senso e il tragitto. Ridisegnando con esemplare nitidezza discussioni e questioni filosofiche centrali quali il verificazionismo, il monismo, il significato e l’applicazione del concetto di libertà, Berlin ci mostra infatti la complessità di una formazione che doveva portarlo a formulare quel pensiero plurale che gli premeva tenere distinto dai facili relativismi della cosiddetta «postmodernità». A questo prezioso congedo Hardy ha unito una serie di testi dal carattere limpidamente introduttivo, accomunati da un tema cruciale – il ruolo sociale e politico delle idee –, e che nel loro insieme paiono corroborare un ammonimento di Heine assai caro a Berlin: «Prendete nota di questo, voi orgogliosi uomini d’azione: voi non siete nient’altro che gli strumenti inconsapevoli degli uomini di pensiero, che nella loro quiete sommessa hanno spesso redatto i vostri più precisi piani d’azione».
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