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Anno edizione: 2021
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Una raccolta di poesie di Jón Kalman Stefánsson, uno dei più amati scrittori nordici.
Poesie quotidiane, riflessioni sulla vita, versi estemporanei che anticipano i grandi temi dei suoi romanzi più conosciuti (le eterne domande dell'uomo, la vita, l'amore, il fallimento, il senso ultimo dell'esistenza, il potere dell'arte e della letteratura) e rispecchiano la sua specialissima scrittura che si distingue per la sottile ironia e una lingua di singolare ricchezza evocativa. «Perdonami ma / a causa dei numerosi impegni / per mettere su casa / procurarsi entrate / nazionalizzare i venti / va accantonata la vita / da oggi e per i prossimi giorni.» Oltre a tre raccolte di poesie scritte tra il 1988 e il 1994, La prima volta che il dolore mi salvò la vita contiene un lungo testo biografico in cui l'autore, con una scrittura magnetica che decanta l'essenziale, racconta con infinita tenerezza le sue improbabili origini di scrittore, la pubblicazione del suo primo libro, le vendite deludenti, le letture giovanili e l'atmosfera vivace ed elettrica della vita letteraria di Reykjavík e Sandgerði alla fine del XX secolo. «Lo scopo della vita / Non è facile trovarlo / tant'è / che io non l'ho trovato.»
E' un autore da leggere, non sempre convince, ma racconta un mondo in gran parte sconosciuto.
Stefansson per me è una garanzia, sia quando scrive prosa che quando scrive poesia
Non sapremo mai in che precisa misura quest'inquieta frolla di carcassa che ci tiene possa davvero essere salvata dalla parola, dal passo misterioso delle sillabe, danza o corsa che sia, caviglia presa in una storta o salto sicuro fra i periodi. Ma sempre ci sarà questo soccorso di mani unicamente scritte, pensate e consegnate a una pagina, stento e confessione che provano a sfiorarsi e a capirci, alleati distanti che planano con ali di virgole. Così accade che si possa sorridere incontrando dei versi che tutto vogliono dirci meno il dirci qualcosa: "Non ho niente da dire/ma ho rubato i reattori da un sogno degli dei/e sto puntando al sole/dopo un pugno di istanti come folgori./Sto sulle spalle del tempo/e vedo stazioni televisive diventare i musei dell'oblio/mastico rocce perché lo sguardo ventoso della donna/non alzi il sangue dal suo alveo./Ho un mandato d'arresto per l'eternità,/faccio della morte un fattorino/a un appuntamento col vento...". Come in un pessimismo lieto, giocato su labbra delicate, ludiche, sorgono dunque questi germogli, diretti e semplici nel loro coro di immagini, frecce di dolcezza simpatica che si fanno sopportare mentre scavano l'animo: "Allora è finita qui/in questa sporca stanza d'albergo/con la carta igienica esaurita/e un sospetto alone giallo sui muri./Allora penso che di certo la morte verrà/vestita da donna delle pulizie/ma allo stesso tempo penso che la morte,/perfino la morte/mi scanserà in momenti come questo./Allora è finita qui/in questa notte sgualcita/con un sapore aspro di whisky in bocca/e sotto i fiotti di lava della città/ogni notte ti è sconosciuta/e senza un soldo/puoi scegliere tra una puttana e una bottiglia di whisky....". La parola che interroga coincide alla fine con quella che tace, matrigna e figlia insieme nello stesso cesto. Così ci si rassegna senza rimpianti pensando a un epitaffio per l'homo sapiens: "Sulla tua lapide confido/sarà scritto:/A giudicare dal quoziente intellettivo/era incredibilmente cretino"
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