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L’operazione di Rovere era interessante sulla carta: rivitalizzare uno dei generi fondamentali del cinema italiano, in una chiave più realistica e cruda, più o meno come fece Nolan con i cinecomic. I punti di riferimento del regista sono fin troppo palesi: lo splendido Apocalypto di Mel Gibson (e volendo anche La passione di Cristo), l’altrettanto riuscito Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn e il più recente, e decisamente meno meritevole, The Revenant di Iñárritu. Da Gibson vengono ripresi l’utilizzo della lingua parlata nel periodo in cui si svolge la vicenda, in questo caso il proto-latino, e l’esibizione di una violenza al limite dello splatter. Di Refn ritroviamo, ancora, le esplosioni di violenza e i toni molto cupi e antispettacolari. Il film di Iñárritu infine ha sicuramente influenzato Rovere nella scelta della fotografia, che predilige l’illuminazione naturale (bisognerebbe citare quindi anche Nuovo Mondo di Malick). Il risultato è un film che non cerca di ricalcare la spettacolarità fittizia dei peplum italiani, caratterizzati dalle sontuose ambientazioni e dalla grandezza e la pomposità della messa in scena, il che senz’altro è una scelta interessante. Ma a non funzionare soprattutto è la sceneggiatura, tra personaggi che mutano troppo improvvisamente, senza apparenti ragioni, e un ritmo estremamente discostante. È un peccato dirlo ma Il primo Re è una grande delusione.
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