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L'uomo con la sua autocoscienza, ha sviluppato nei secoli l'assolutismo della ragione, misurando antropologicamente le cose attorno a sè. Ripercorrendo linguisticamente il fondamento della ragione, si evidenzia che tale fondamento è solo pre-messo, col risultato patetico dell'illusione di poter controllare il "destino". Heidegger afferma che la difficoltà a scorgere il manifestarsi dell'essere, è insito nella sua essenza, che, in quanto svelarsi, si svela in modo tale che allo svelare appartiene contemporaneamente un velarsi, cioè un sottrarsi. Ovvero la stessa dimensione dell'uomo.
Recensioni
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scheda di Bonola, M., L'Indice 1992, n. 4
"Pensare propriamente l'essere richiede che si prescinda dall'essere in quanto esso, come in tutta la metafisica, è interpretato. . . solo a partire dall 'ente e come suo fondamento. Pensare propriamente l'essere richiede che si abbandoni l'essere come fondamento dell'ente". Sulla base di testi come questo, ricorrenti nei lavori dell'ultimo Heidegger, Vattimo si domandava, in un suo saggio del 1978, se non fosse lecito interpretare Heidegger come il teorico del "pensiero senza fondamento". La traduzione italiana del volume su "Il principio di ragione", illuminante per l'intera questione, consente oggi di riprendere e approfondire sotto il profilo storico e teorico questa problematica, certamente essenziale per la comprensione dell'itinerario speculativo del filosofo tedesco. Infatti, quando Heidegger pubblicò nel 1957 questo suo ultimo corso accademico, la sua riflessione sul problema del fondamento datava già da alcuni decenni. Essa compare nella seconda parte del corso sui "Problemi metafisici della logica" (1928), confluisce nel celebre scritto su "L'essenza del fondamento" (1929) per riemergere poi nel contesto della "svolta" degli anni trenta (il paragrafo 187 dei "Beiträge") assumendo il ruolo di un vero e proprio segnavia delle tappe essenziali del suo pensiero. In realtà, come nota Volpi nella sua postfazione, il pensiero del fondamento percorre trasversalmente l'intera filosofia di Heidegger, costituendo uno dei cardini dell'interpretazione del senso dell'essere e quindi del confronto critico con la tradizione metafisica. Nell'arco delle tredici incalzanti lezioni del corso egli si sofferma proprio sul carattere metafisico e ontico del principio di ragione, scorgendo in esso l'esigenza di dare un fondamento "ontologico" a ogni ente, e di identificare alla fine l'essere stesso con il fondare. Proprio qui, auspice la meditazione filosofica del tardo Schelling, si apre tuttavia la possibilità di un'esperienza transmetafisica dell'essere, incentrata sulla tesi del carattere infondato del fondamento stesso : se da un lato il principio di ragione evoca l'essere come fondamento dell'ente, dall'altro scopre cbe "l'essere in quanto tale, resta senza fondamento" (p. 189). La tesi dell'essere in quanto assenza di fondamento, mentre delegittima il nesso ontologico fondativo della metafisica moderna, prospetta uno degli esiti più estremi della volontà decostruttiva dell'ultimo Heidegger, lasciando intravedere il senso della successiva pubblicazione dei suoi corsi su Nietzsche (1961). Dove l'essere lascia trasparire l'assenza di fondamento, il "fondo abissale" su cui l'ente è sospeso, si profila l'incipit di Zarathustra.
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