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Condivido il giudizio di Bertini, studio proustiano appassionato e appassionante come un'indagine. E in ottimo stile (il che non guasta, sopra tutto oggi).
È un testo pieno di suggestioni critiche. Proust era letterariamente più anglofilo di quanto non si pensi comunemente. Mi ha invogliato a rileggere tante parti della Recherche. È questo il bello delle letterature comparate quando funzionano così bene.
Un libro inutile per chiunque sia capace di leggere il francese o l'inglese ed esplorare un po' la bibliografia proustiana.
Recensioni
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LAURO, CARLO, Proust e la cultura anglosassone
CITATI, PIETRO, La colomba pugnalata. Proust e la Recherche
scheda di Bertini, M., L'Indice 1996, n. 2
A partire dal suo Goethe (1970, 2ª ed. 1990), Citati persegue un proprio peculiare modello di monografia letteraria. È un modello bipartito: da un lato c'è il ritratto di uno scrittore, ritratto ben nutrito di documenti che però restano come dissolti nella fluidità di una narrazione piana, limpidissima, accattivante; dall'altro lato, il ritratto della sua opera, un lungo, prezioso intarsio di citazioni e parafrasi illuminato e reso compatto da un sostanzioso commento. Quella del commento è forse in qualche modo la vocazione più vera di Citati; là dove egli ci parla del Proust saggista che, "appeso al testo altrui come il pipistrello al soffitto", lo scruta e lo percorre "sino a mutarlo nella sostanza intima del proprio pensiero", non ci offre solo una bella immagine dell'autore della "Recherche", ma anche un sapido autoritratto. D'altronde, commentare un testo non significa mai per Citati isolarlo dall'imponente complesso delle proprie letture; e la sua interpretazione di Proust risulta più convincente e più nuova proprio nelle belle pagine che, avvicinando Marcel a Wilhelm Meister o al principe Andrea di "Guerra e pace", al protagonista dell'Asino d'oro o a quello di un inno gnostico, ci mostrano in lui l'erede di diciassette secoli di storia letteraria.
Attraverso il giovanile entusiasmo di Proust per Emerson e poi per Ruskin si intravede, nel volume di Citati, il filo che lega Proust al mondo anglosassone: seguendo questo filo - anche nei suoi tratti meno appariscenti - con la sensibilità indiziaria di un eccellente detective, Carlo Lauro ha arricchito di un tassello fondamentale il mosaico degli studi proustiani, che presentava su questo punto una lacuna, insufficientemente colmata dal "Proust lecteur des anglo-saxons" di P. E. Robert (Paris, 1976). L'universo della "Recherche" è permeato di anglomania: lo popolano arrivisti e cocottes che ostentano un linguaggio disseminato di anglicismi e dandies il cui inarrivabile modello è il principe di Galles. Da questo pulviscolo di riferimenti frammentari Carlo Lauro fa emergere un'immagine complessiva: il profilo della tradizione anglosassone, con i suoi echi francesi, quale fu percepito da Proust. Interagiscono con questa percezione alcuni scrittori che Proust avvertì come affini: da Stevenson a Kipling, a James Barrie, a Wells, sino alle figure fondamentali di George Eliot e Thomas Hardy. Su assonanze e analogie che avvicinano il romanzo proustiano alle pagine di George Eliot e di Hardy, Lauro ci offre la sua analisi più esaustiva e penetrante; un'analisi che non si riduce mai alla semplice constatazione di un "influsso", ma individua magistralmente tensioni, contraddizioni e intrecci tematici oltremodo complessi.
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