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recensione di Battaggia, P., L'Indice 1997, n. 2
Virginia Hunter, psicologa e psicoanalista di New York, persegue più di uno scopo in questo suo libro sotto molti aspetti originale e ambizioso. Sottopone un difficile caso clinico da lei trattato all'esame di undici psicoanalisti molto noti, scelti con l'intento di rappresentare autorevolmente i principali indirizzi della moderna psicoanalisi. Anche se finisce per rivolgersi prevalentemente a esponenti delle tendenze più presenti nella psicoanalisi nordamericana, come la psicologia psicoanalitica dell'Io, la psicologia del Sé e i loro sviluppi, riesce a tenere conto della scuola kleiniana, della scuola inglese delle relazioni oggettuali, della psicoanalisi francese, mentre non sono rappresentate le scuole latino-americane. A ognuno viene presentato lo stesso testo, consistente in una breve relazione e in una seduta accuratamente riportata. Molte altre informazioni sulla persona curata e sull'insieme del trattamento emergono nel corso della successiva discussione.
La Hunter si propone di studiare in che misura e sotto quali aspetti l'orientamento del supervisore possa riflettersi su come viene valutato il materiale clinico e viene condotto il trattamento. I risultati di tale indagine sono esposti al termine del volume in una sintesi sinottica. Ma l'autrice si propone di andare oltre, impostando una ricerca capace di cogliere l'influenza che il contesto culturale e storico e vari fattori soggettivi hanno esercitato su questi illustri clinici, riflettendosi, attraverso la mediazione dei modelli teorici preesistenti, sul loro modo di pensare e sullo stile di lavoro personale. Ciascuno ha accettato di sottoporsi a un'approfondita intervista, la cui registrazione è fedelmente riportata. Emergono così notizie sulla biografia, sull'influenza dell'ambiente socioculturale di origine, sui loro spostamenti per ragioni politiche o per scelte di vita, sulle vicende istituzionali in cui sono stati in varia misura e in vari ruoli coinvolti lungo tutto l'arco della loro esperienza formativa e professionale, e opinioni sull'evoluzione storica e sullo stato attuale della psicoanalisi.
La Hunter sostiene che ogni psicoanalista, per via della sua storia, esperienze personali e cultura, si forma in qualche misura una teoria della personalità che lo influenza nella scelta e adesione ai modelli teorici già esistenti e nel dare un ulteriore personale contributo alla loro evoluzione. Ritiene che le caratteristiche e peculiarità delle analisi personali e didattiche e dell'istituto di formazione cui appartiene possano generare un loro "transfert sulla teoria". Pensa di poter dimostrare, con il materiale raccolto, che questo insieme di fattori entri in gioco in modo significativo anche nel determinare quello che descrive come il "mito personale" che ogni analista si costruisce.
Come è naturale attendersi, il quadro che emerge è assai sfaccettato e complesso. Le impressioni e valutazioni espresse risentono di un'inevitabile soggettività e risultano talora considerevolmente divergenti. Se tutti gli intervistati concordano, circa il caso clinico presentato, sulla diagnosi e sull'inevitabile lunghezza del trattamento, le opinioni si differenziano sulla natura e definizione del trattamento indicato e praticato, cioè se debba trattarsi di psicoterapia o di psicoanalisi, e anche sull'importanza che tale distinzione riveste. Nel valutare i fattori che determinano il disturbo e nel definire il funzionamento e l'organizzazione psichica della paziente emergono molte analogie, ma anche peculiarità e divergenze di cui si coglie agevolmente il rapporto con l'orientamento teorico del singolo analista. Analoghe considerazioni possono farsi su come viene concepita la strategia generale del trattamento e sulle questioni più strettamente tecniche circa la sua conduzione. Altrettanto personali e divergenti sono le valutazioni su altre eminenti figure della psicoanalisi non intervistate ma citate, e sulle vicissitudini interne al movimento psicoanalitico e ad alcune importanti scuole, come quella di Chicago (si possono confrontare al riguardo le posizioni di Ernest Wolf, Giovacchini e Goldberg).
Molte delle tesi esposte dalla Hunter all'inizio della ricerca sembrano, al termine della lettura, confermate in modo convincente. Il compito di giungere a tale conclusione è lasciato sostanzialmente al lettore, in mancanza di un più preciso impegno dell'autrice nel tirare le fila del suo discorso, mostrando o almeno tentando di mostrare le ragioni delle differenze e delle concordanze di vedute presenti nell'abbondantissimo materiale raccolto. L'esposizione dell'impianto della ricerca, pur stimolante, si rivela così come un anticipo di buona parte delle conclusioni che il lettore può trarre. Il lavoro della Hunter illustra prese di posizione e divergenze con chiarezza e obiettività, senza aggiungere nulla di risolutivo e lasciando sostanzialmente aperti nodi problematici comunque ben noti. Suo indiscutibile merito è il mettere a disposizione dei lettori un materiale su cui riflettere di non comune ampiezza, qualità e interesse. La miriade di punti di vista e intuizioni cliniche rivelate al lettore illustrano quanto possano essere ricche e multiformi anche le riflessioni su un singolo caso. La viva partecipazione di ciascuno degli intervistati, la sincerità e l'apertura nel fornire notizie sulla loro storia personale, punti di vista ed esperienze dirette, con molti particolari anche inediti, contribuiscono a rendere la lettura di questo libro attraente e coinvolgente.
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