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Qual è il rapporto che intercorre tra la storia e il diritto? Appurato che la prima non è necessariamente il luogo ove si dispieghi il secondo, può l'azione della magistratura assurgere a funzione redibitoria e risarcitoria di quelle offese che fatti legati alla guerra e alle violenze gratuite, e proprie di condotte deliberatamente criminali, ingenerano nella comunità umana? E quali sono gli effetti, così come le opportunità, che tale agito giudiziario offre a quanti, richiamandosi al giudizio di terzietà, cercano così di vedere ristabilito un equilibrio tra lesione della dignità di cui sono state vittime e vocazione alla memoria? Sono due tra la le tante domande sottese al lavoro di Pier Paolo Rivello, procuratore capo presso la Procura militare di Torino, da molti anni attivo sul fronte dell'identificazione e punizione dei crimini nazifascisti commessi nel nostro paese. Il suo lavoro intreccia la dimensione penale alla ricostruzione storica, come l'attività giuridica alla riflessione etica e al giudizio politico, innervandosi nel dibattito, oggi in corso, su un passato che non può facilmente passare. Nel libro l'autore ricostruisce l'eccidio della Benedicta, le fucilazioni del Turchino e le deportazione nei lager germanici. Ma soprattutto si interroga, con ampia cognizione di causa, su quella che definisce "incredibile inerzia" nella formulazione di un giudizio che, evidentemente, pur non risolvendosi nel solo operato dei magistrati inquirenti e giudicanti, avrebbe dovuto trovare nel loro lavoro comunque un passaggio obbligato e imprescindibile. I ritardi e le omissioni, in questo come in altri casi, hanno un amaro sapore e dicono molto riguardo a certe linee di sospetta continuità e a perduranti connivenze.
Claudio Vercelli
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