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Questo libro potrebbe definirsi, con linguaggio di moda, un prequel dello spassosissimo Il mio gatto è proprio matto (Il Castoro, 2006), dove Gilles Bachelet, autore in senso pieno, ossia scrittore-illustratore, era alle prese con un gatto dotato di proboscide (ma questo non vuol dire niente, un sacco di gente ha la proboscide) e tanto ingombrante da fare i bisogni fuori dalla cassetta (ma che colpa ne ha lui se il signor Bachelet ha comprato una lettiera troppo piccola?). Insomma, un gatto così strano da sembrare matto agli occhi dell'innamoratissimo ma stranito padrone. Ora vediamo la scelta tra la cucciolata nella cesta, il piccolo che beve il latte, si lava energicamente, dorme, il trasporto a casa nella gabbia, le prime entusiastiche ma disastrose esplorazioni, gli alluvionali bagni, i devastanti giochi, fino al regalo di un peluche che il nostro "micio" scambia allegramente con una carota. A raccontarlo così, però, si perde tutta l'allegria delle illustrazioni, l'umorismo che sprizza dalle situazioni più esilaranti, il dinamismo delle figure che creano una vera storia. Il bambino si diverte di fronte all'evidente contrasto tra "dichiarazioni" dell'autore e immagini dell'effettiva realtà. Il suo è un riso di "superiorità", perché lui vede, sa come stanno veramente le cose, mentre l'adulto non ha capito niente. Per il padrone quello è un tenero gatto, come si sa "ogni scarafone è bello 'a mamma soia", ma per il piccolo lettore l'evidenza è quella di un pachiderma in situazioni molto buffe, ridicole, assurde, proprio matte. Se volessimo cercare a ogni costo una morale, potremmo ricavare un discorsetto sulla relatività dei punti di vista, sulla diversità che sta negli occhi di chi guarda e come guarda. Ma accontentiamoci del divertimento di un bambino davanti a un elefante buffo e matto come un gatto (o viceversa). Fernando Rotondo
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