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Anno edizione: 2016
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Quest'opera ha svariati pregi, in quanto affronta in maniera esplicita argomenti considerati tabù all'epoca della pubblicazione (e, in parte, anche oggi), con sguardo crudo e realistico. Riconosciuti i giusti meriti, la trama è vacua e la sordidezza, parte essenziale dei personaggi, rende difficile proseguire con la lettura: se la luna è l'innovatività degli argomenti, il lettore si ferma a guardare il dito, ossia il profluvio di termini scurrili e descrizioni lerce.
L'autore è capace di giocare con il lettore accompagnandolo nelle pagine di questa storia di dominio.
La fotografia non coglie le mosche, né l'odore bianco e greve della morte; e neppure dice che per proseguire bisogna saltare da un cadavere all'altro. Quando si guarda fisso un morto, succede uno strano fenomeno: la mancanza di vita in quel corpo equivale a una mancanza totale del corpo, o meglio, a un suo ritrarsi interrotto. Anche se ci avviciniamo, ci sembra che non lo toccheremo mai. Questo se stiamo a guardare. Ma basta un gesto rivolto al morto, chinarsi su di lui, cambiare di posto a un braccio o a un dito, ed eccolo ben presente, e quasi amico. L'amore e la morte. Ne scrivi uno e l'altro subito accorre a completare la coppia. Ho dovuto andare a Shatila per cogliere l'oscenità dell'amore e l'oscenità della morte. In ambedue i casi, i corpi non hanno più niente da nascondere: posizioni, contorcimenti, gesti, segni, anche i silenzi appartengono all'uno e all'altro mondo. Il corpo di un uomo di trenta - trentacinque anni era steso sul ventre. Di tutto questo, e di altro, ci parla in questo libro Jean Genet. Consiglio.
Recensioni
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