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Anno edizione: 2021
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La travolgente passione di Sciascia per il cinema.
In un'aula giudiziaria, una donna vestita di nero accusa il capomafia che ha fatto ammazzare suo marito e poi – malgrado le avesse garantito che non gli «avrebbero toccato un capello» – anche suo figlio: «Loro sono venuti meno alla legge dell'onore,» dichiara «e perciò anche io mi sento sciolta». Pur di vendicarli ha accettato di infrangere le regole cui si era sempre sottomessa – di rinunciare a vivere. Quella donna è Serafina Battaglia, testimone di giustizia nella Palermo dei primi anni Sessanta, devastata dai regolamenti di conti mafiosi. Ma il testo che ne evoca la «vindice inflessibilità» non è un racconto: è uno dei tre memorabili soggetti che Sciascia, realizzando un'antica vocazione – diventare regista o sceneggiatore –, ha scritto per il cinema, e che sono sinora rimasti inediti. Nata alla fine degli anni Venti nel «piccolo, delizioso teatro» di Racalmuto trasformato in cinematografo, e in seguito febbrilmente alimentata, la sua passione per il cinema è del resto sempre stata travolgente: «per me» ha confessato «il cinema era allora tutto. TUTTO». E ha suscitato, fra il 1958 e il 1989, acute riflessioni affidate ai rari scritti pure qui radunati: sull'erotismo nel cinema, sulla nascita dello star system, sul periglioso rapporto tra opere letterarie e riduzioni cinematografiche. Nonché splendidi ritratti: come quelli di Ivan Mozžuchin, dal volto «affilato, spiritato, di nevrotica malinconia», di Erich von Stroheim, «l'ufficiale austriaco che ha dietro di sé il crollo di un impero», o ancora di Gary Cooper, «eroe della grande e libera America» – vertiginosamente somigliante al sergente americano che nell'estate del 1943 avanzava al centro della strada «fulminata di sole» di un paese della Sicilia. (A cura di Paolo Squillacioti)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un titolo diderottiano per questa raccolta di saggi e scritti inediti per il cinema che raccontano la passione fredda di Sciascia per la settima arte. Una lettura piacevole caratterizzata, come sempre, dalla affilata analisi critica di cui l'autore è maestro.
Recensioni
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L’anziano scrittore cinefilo – già spettatore più che assiduo, poi critico militante e perfino aspirante regista o soggettista in gioventù – che si commosse nel corso di una visione privata di Nuovo cinema paradiso di Peppuccio Tornatore è più o meno lo stesso che nel 1987 scrisse: «Ormai per saturazione non vado più al cinema (se non per vedere i film di Fellini)». Eppure per tutta la vita l’attrazione fra Leonardo Sciascia e il cinema era stata reciproca. I registi avevano attinto ai suoi libri e lui, per cui la settima arte era in epoca giovanile «TUTTO», ne era stato blandito, anche se non fino in fondo, e aveva collaborato con qualche cineasta, anche se non con tutti quelli che l’avevano cercato (solo sfiorati gli incontri artistici con Leone, Rossellini e Antonioni).
I suoi scritti sul cinema e per il cinema adesso vedono la luce in modo compiuto. Non più sparsi, in molti casi, non più inediti, in altri, hanno certamente molti motivi d’interesse e sono di gran lunga migliori di tantissime cose che si trovano al giorno d’oggi sugli scaffali delle librerie, pur non essendo davvero cruciali per mettere a fuoco la geografia intellettuale dello scrittore nato a Racalmuto un secolo fa. Le ragioni profonde e irriducibili della sua scrittura etica e politica, della sua ricerca della verità, anche solo lembi, della passione civile che lo animava, e del suo modo di intendere la letteratura, sono da ricercare altrove, nelle tante pagine indimenticabili delle sue opere maggiori, tutte contro i silenzi e i compromessi. Sono comunque parecchi gli spunti che offrono le pagine di Questo non è un racconto (170 pagine, 13 euro), la più recente pubblicazione di Sciascia per le edizioni Adelphi, curata dal filologo Paolo Squillacioti (qui una nostra intervista), le cui sapide note finali, con qualche gustoso aneddoto, non sono meno interessanti dei ventisette brani non più inediti e dispersi di Sciascia.
I soggetti o bozze di soggetti per Carlo Lizzani, Lina Wertmuller e Sergio Leone avviano Questo non è un racconto (e, in generale, quelli di Sciascia non erano mai “solo” racconti, per l’ingrediente saggistico sempre sapientemente dosato). Spunti che non hanno seguito su pellicola, idee fissate velocemente sulla carta, cartelle dattiloscritte ritrovate dal nipote Fabrizio Catalano. Il cinema si è fatto ispirare e sedurre dalle opere di Sciascia (basti pensare ai film di Damiani, Rosi, Petri e Amelio), che però, da sé, con il linguaggio del cinema e soggetti scritti appositamente, non riuscì a essere davvero protagonista in prima persona.
Competenza, riserve (su Visconti e Antonioni) giudizi acuti e netti (come quello sul film tratto da Il bell’Antonio di Brancati, definito «insulso», o contro certe oleografie folkloristiche e stereotipate della Sicilia in alcuni film) e una lente d’ingrandimento sul rapporto letteratura-cinema, anche a cominciare dai film tratti dai propri libri, che lo lasciavano soddisfatto, per una tenuta e un’aderenza sostanziale alle sue idee. Ecco cosa troveranno i lettori di Questo non è un racconto. Pagine di frasi esatte ed essenziali, in cui spira un po’ di nostalgia per il passato, per alcuni protagonisti (Charlie Chaplin, Gary Cooper, Ivan Mosjoukine, ritratti in articoli cesellati) del mondo di celluloide che fu.
Recensione di Arturo Bollino
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