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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2005
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«Ogni mio racconto è uno schiaffo allo stalinismo», cosí nel 1971 Varlam Salamov definiva con secca, sonora immediatezza I racconti di Kolyma, tragica testimonianza sui gulag sovietici, su «quello che nessun uomo dovrebbe vedere né sapere.»
Dalla fine degli anni Venti al dopoguerra milioni di persone vennero deportate e morirono nei lager staliniani, e alla Kolyma, regione desolata di tundra e ghiacci dove «uno sputo gela in aria prima di toccare terra», Šalamov rimase confinato dal 1937 al 1953. L'anno successivo, subito dopo il ritorno a Mosca, tassello dopo tassello Šalamov cominciò a comporre il suo monumentale mosaico contro l'oblio, il suo poema dantesco sulla vita e sulla morte, sulla forza del male e del tempo.
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Impeccabile traduzione a cura di Sergio Rapetti per questa edizione Einaudi, l'unica veramente integrale e contenente tutti i 145 racconti ordinati da Salamov stesso. Detto questo, si apre il problema di come affrontare più di 1200 pagine! Io ho cominciato dai racconti più noti, citati in altri libri sui gulag, e subito ho capito che non avrei messo di continuare a leggere Salamov, grande scrittore prima di tutto e poi testimone straordinario. Ho condiviso le lodi di Gustaw Herling, altro scrittore che ha vissuto l'esperienza concentrazionaria, che nei suoi interventi ha più volte sottolineato l'unicità e la grandezza di Salamov (da leggere le interviste di Herling raccolte in un libro sul rapporto tra letteratura e totalitarismi).
La letteratura dei campi di lavoro è sempre molto interessante, i racconti della kolyma però lo è in modo particolare. Varlam Salamov racconta con lucidità e giudizio le vicende e le costruzioni di una kolyma nella Russia stalinista.
Il romanzo raccoglie tutta una serie di brevi racconti di vita all'interno dei gulag sovietici dove sono rinchiusi sia detenuti comuni sia detenuti soggetti all'articolo 58 cioè uomini e donne accusati di propaganda antisovietica. Un altro orrore che precede, affianca e va oltre quello della follia nazista. Se ad Auschwitz si era accolti dal messaggio "il lavoro rende liberi" all'ingresso dei campi della Kolyma campeggiava: "Il lavoro è una questione d'onore, di gloria, di valore e di eroismo". Solomov venne liberato nel 1951, dopo 17 anni di Kolyma, perciò buona parte dei racconti (se non tutti i racconti) derivano dalla sua personale esperienza in quei campi. Molto intenso, lo consiglio agli interessati alla letteratura del genere.
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