La violenza ha da sempre occupato e occupa tutt'ora un ruolo centrale, sia nelle relazioni umane che nella costruzione/distruzione della stessa civiltà umana. Ed è altrettanto scontato oggi più di ieri, affermare che tale violenza non sembra essere il prodotto del libero arbitrio umano, ma che è insita nel suo animo. Sono queste posizioni che hanno da sempre acceso forti dibattiti, spesso dibattiti violenti tra filosofi, intellettuali, teologi della storia sin dalle origini del pensiero occidentale, ovvero, in Grecia, quando fecero la loro comparsa i cinici Diogene e Sinope. Sant'Agostino ha poi riaffermato con veemenza nelle sue Confessioni la natura essenzialmente peccaminosa dell'uomo, Hobbes riprende da Plauto la sentenza homo homini lupus che trova nel suo scritto più conosciuto, Il Leviatano, la più completa teorizzazione: l'uomo è intrinsecamente pericoloso per i suoi simili, dunque deve essere necessariamente governato con qualunque mezzo. Certi intellettuali dell'illuminismo ammettono la presenza di un'inestricabile violenza insita nell'uomo. La schiera di pensatori che vedono nella violenza e nella distruttività una parte della natura umana si infoltisce successivamente nel XIX secolo. Il testo prende in esame il comportamento aggressivo, offre una presentazione sistematica delle varie teorie al riguardo, adottando una prospettiva storica che dà conto della loro formazione e successiva trasformazione in tempi e contesti differenti. I capitoli successivi sono dedicati ai vari paradigmi interpretativi del comportamento aggressivo. Nell'ultimo capitolo il problema viene preso in considerazione dal punto di vista giuridico morale, prendendo in esame il principio della legittima difesa. Scopo di questo lavoro è stato dunque quello di dimostrare che esiste una forma di violenza insita in ogni essere umano di ogni società.
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