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Le ragioni della logica - Carlo Cellucci - copertina
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Le ragioni della logica
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Le ragioni della logica - Carlo Cellucci - copertina

Descrizione


Che cos'è la logica? È solo una scienza formale e astratta, oppure ha a che fare con la realtà? Serve solo a giustificare conoscenze già trovate, oppure anche a scoprirne di nuove? Questo libro ricostruisce le risposte date a tali problemi dall'antichità ai nostri giorni da alcuni tra i pensatori più significativi quali Platone, Aristotele, Descartes, Pascal, Leibniz, Kant, Boole, Frege, Hilbert e Gödel. Partendo da tale ricostruzione esso propone una nuova visione della logica imperniata sul problema della scoperta, in cui il metodo analitico, l'induzione e l'analogia svolgono un ruolo centrale. Ciò comporta il passaggio dall'attuale concezione della scienza come sistema chiuso a una concezione della scienza come sistema aperto.
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Dettagli

4
2005
13 febbraio 1998
432 p.
9788842054382

Voce della critica


recensione di Odifreddi, P., L'Indice 1998, n. 5

Il libro di Cellucci attacca le ragioni della logica, che si possono sintetizzare nel seguente modo: ogni teoria scientifica deve essere matematica, ogni teoria matematica deve essere assiomatica, e ogni teoria assiomatica deve essere logico-deduttiva. L'attacco di Cellucci è argomentato e condivisibile, anche se riteniamo che esso sia più appropriato all'aristocrazia logica del passato, quella cioè dei padri fondatori e dei loro epigoni, e meno alla classe lavoratrice del presente, alla quale apparteniamo noi.
L'argomento del contendere è la logica moderna, un'impresa di analisi matematica delle leggi del ragionamento iniziata nel 1879 con l'"Ideografia" di Gottlob Frege, e terminata nel 1931 con il teorema di Gödel. In realtà, la prima analisi delle leggi del ragionamento si può far risalire almeno alla teoria dei sillogismi di Aristotele, e la loro prima analisi matematica a George Boole nel 1847. Ma fu Frege il primo a descrivere in maniera completa le leggi della logica dei predicati, e a basare su di essa una versione precisa del paradigma logico-deduttivo che era già stato proposto da Aristotele, e realizzato imperfettamente da Euclide.
Il paradigma si può sintetizzare nel modo seguente: la conoscenza scientifica, compresa quella matematica, è codificabile in teorie assiomatiche che consistono di assiomi enunciati esplicitamente, e di teoremi ottenuti esplicitamente dagli assiomi in maniera puramente deduttiva, attraverso le regole della logica dei predicati. In base al paradigma, le teorie assiomatiche diventano gli ambiti privilegiati della ricerca matematica, e l'attenzione finisce spesso per essere distratta dalle loro proprietà, in particolare la consistenza e la completezza: il fatto cioè che non sia possibile dedurre contraddizioni, e che sia invece possibile risolvere tutti i problemi che si possono formulare.
Nel 1931 Gödel dimostrò un famoso teorema, che mostrò quanto poco queste distrazioni fossero produttive. Anzitutto, la consistenza di una teoria assiomatica si può, in generale, soltanto dimostrare al di fuori di essa: il che significa che le teorie matematiche non possono autogiustificarsi, e devono trovare la loro giustificazione altrove. Inoltre, le teorie assiomatiche sono, in generale, incomplete: il che significa che nessuna di esse è definitiva, e ci si deve sempre aspettare la necessità di una loro estensione o modifica.
Di questi sviluppi, e delle aspettative di coloro che ne furono protagonisti, il libro di Cellucci traccia una interessante e articolata analisi storica, tutta basata su citazioni letterali integrate nel testo: il che ne rende agevole la lettura, e ardua la confutazione. Non ci porremo dunque neppure il problema se effettivamente i padri fondatori della logica matematica, e cioè Frege, Russell e Hilbert, abbiano avuto i deliri di potenza che Cellucci descrive: semplicemente, ci crediamo.
Né staremo a discutere la critica, altrettanto condivisibile, che Cellucci rivolge al paradigma logico-deduttivo in quanto ispiratore di sistemi chiusi, a senso unico (dagli assiomi ai teoremi), puramente descrittivi, incapaci sia di rendere conto del processo di scoperta degli assiomi, sia di riflettere in maniera dignitosa e articolata il processo creativo che caratterizza l'attività dimostrativa del matematico: semplicemente, la condividiamo.
Vogliamo invece sottolineare con Cellucci che, contrariamente all'aforisma di Wittgenstein sulla "disastrosa invasione della logica nella matematica", il paradigma logico-deduttivo non ha avuto quasi nessuna influenza sulla pratica matematica. Infatti, non solo la maggioranza dei matematici non si interessa delle sistematizzazioni assiomatiche, e continua imperterrita a dimostrare teoremi in maniera intuitiva e informale: anche i logici hanno accantonato i sogni di gloria, e studiano oggi le teorie assiomatiche come oggetti matematici astratti e autonomi, senza curarsi delle loro origini storiche legate ai fondamenti della matematica.
Per fare un esempio fra tutti, che prova non solo quanto il metodo assiomatico sia inadeguato a descrivere l'attività matematica, ma anche quanto poco seriamente esso venga considerato dai matematici, basta considerare la "prima" proposizione del "primo" libro di Euclide: "su un segmento si può costruire un triangolo equilatero". La proposizione non è un teorema del sistema di Euclide, perché richiede in modo essenziale un assioma di continuità che egli non aveva enunciato, e la sua dimostrazione è dunque sbagliata. Ma i matematici considerano sia la proposizione sia la dimostrazione di Euclide corrette, e il suo sistema assiomatico inadeguato: il che dimostra chiaramente che cosa essi ritengano fondamentale, e cosa invece inessenziale.
Come se non bastasse, i matematici possono addirittura considerare significative o perspicue dimostrazioni sbagliate: casi tipici sono le acrobazie mediante le quali Eulero arrivò ad alcuni dei suoi strabilianti teoremi. Naturalmente questi si possono provare in altri modi, ma è significativo come dimostrazioni scorrette possano ritenere un valore probatorio, mentre in teoria l'unico compito di una dimostrazione dovrebbe essere il mostrare la correttezza di un risultato.
In realtà, i matematici percepiscono i loro risultati con l'occhio della mente, mediante processi che sarebbe forse interessante studiare psicoanaliticamente, ma certo non logicamente. Le leggi della logica matematica, le sole che si possono usare nelle dimostrazioni formalizzate dei sistemi assiomatici, descrivono infatti soltanto aspetti caricaturali del pensiero, e catturano della matematica tanto quanto la grammatica, l'armonia o la prospettiva catturano della letteratura, della musica o della pittura. E, come la critica artistica interessa i critici ma è ignorata dagli artisti e dal pubblico, così la logica matematica interessa i logici ma è ignorata dai matematici.
A scanso di equivoci, è bene comunque precisare che per "logica matematica" si intende qui appunto ciò che abbiamo già precisato agli inizi, e cioè il prodotto del periodo storico che va dal 1879 al 1931, legato ai fondamenti della matematica. Oggi questa accezione della logica è relegata nei dipartimenti di filosofia e di informatica: nei primi, come in reparti ospedalieri per malati terminali, essa viene artificialmente tenuta in una vita puramente vegetativa; nei secondi, la parodia meccanicista del pensiero viene scambiata per un suo modello meccanico, e continua ad alimentare gli ingenui sogni dell'Intelligenza Artificiale.
Nei dipartimenti di matematica la logica ha invece subito una mutazione, ed è divenuta un campo di ricerca matematica autonomo, diviso in quattro branche principali, che poco o niente hanno a che fare con problemi fondazionali, e in cui i teoremi si dimostrano e si presentano nello stesso modo che nel resto della matematica: e cioè, intuitivamente e informalmente. Il che non dice nulla, ovviamente, sull'effettivo valore, assoluto e relativo, della logica all'interno della matematica stessa: valore che è indubbiamente piccolo, anche se forse non tanto infinitesimo quanto invece Cellucci ritiene.
La proposta di Cellucci, nell'ultima parte del suo libro, è che i fallimenti della logica della deduzione nell'area dei fondamenti della matematica dovrebbero spingere a una rifondazione dell'intera disciplina, verso una logica della scoperta che permetta di elaborare sistemi aperti, capaci di rendere conto del processo di scoperta degli assiomi e di riflettere l'attività dimostrativa del matematico. Cellucci vede, addirittura, nella combinazione del metodo analitico e dell'analogia una possibile soluzione del problema.
Su questa particolare speranza ci permettiamo di dissentire, perché crediamo che se i matematici hanno finora ripiegato sulla logica della deduzione per la descrizione dei loro risultati, oltretutto in una forma molto edulcorata rispetto alle rigide richieste della logica matematica, non sia stato per scelta, ma per necessità. Un resoconto veritiero della scoperta dovrebbe infatti combinare due fattori: anzitutto, la traduzione delle intuizioni preverbali di cui si compone la visione matematica in un qualunque linguaggio, che risulterebbe comunque inadeguato; e poi, il resoconto delle lunghe negoziazioni tra tentativi ed errori di cui si compone la verifica dell'intuizione, che apparirebbe proibitivamente prolisso.
Entrambi gli ostacoli si aggirano parzialmente, appunto adottando il linguaggio matematico che si è sviluppato nei secoli per questo scopo, e descrivendo storia e genesi dei risultati. Ma in ogni caso sempre inadeguatamente, come sa chiunque abbia cercato di capire i risultati altrui, o di spiegare quelli propri. La difficoltà della matematica sta tutta qui, nel passaggio dall'astratto all'astratto attraverso il concreto, e il fatto che non ci siano vie regie significa, anche e purtroppo, che non c'è logica che tenga.


recensione di Lolli, G., L'Indice 1998, n. 5

Cellucci inizia con una modesta comparazione di se stesso con Galileo, annunciando una rivoluzione nel metodo scientifico (p. VI) e paragonando le persone che non volessero dargli ascolto a quelle che si rifiutavano di guardare il cielo col cannocchiale (p. XXVI). Il parallelo con Galileo fa venire in mente le considerazioni che sul soggetto ha svolto Paul Feyerabend ("Contro il metodo", Feltrinelli, 1979), che su Galileo aveva torto, ma qui forse no, e cioè che quelli di Galileo non erano argomenti razionali ma "trucchi e inganni". In effetti questo libro è una sequela di trucchi e inganni, organizzati con una logica malata, che forse è la nuova logica a cui il libro vuol fare propaganda.
Un primo esempio (p. XXI) è "l'assunzione che le teorie matematiche debbano essere identificate con le teorie assiomatiche" che l'autore attribuisce alla logica matematica che l'avrebbe imposta e con cui si identificherebbe, ed è uno dei cardini del suo argomento sul carattere reazionario e fallimentare della stessa.
Si consideri: due dei più famosi e influenti sostenitori del metodo assiomatico sono stati all'inizio del secolo Henri Poincaré e Federigo Enriques, entrambi notoriamente nemici acerrimi della logica matematica del loro tempo (per Enriques si veda "Per la storia della logica", Zanichelli, 1987; per Poincaré, "La scienza e l'ipotesi", Dedalo, 1989); altri che hanno contribuito a definirlo sono stati i geometri come Moritz Pasch, ancor prima che tra i matematici si diffondesse la consapevolezza che stava delineandosi la nuova disciplina matematizzata da Boole; David Hilbert ha assiomatizzato la geometria (1899) e i numeri reali (1900) prima di scoprire la logica (1904) come strumento per l'analisi metamatematica delle teorie assiomatizzate, non per la descrizione dell'attività del matematico. Poiché questa e altre tesi simili sono la trama insistita del libro contro la logica matematica e le sue pretese fondazionali si vede subito quali "inganni" guidino il ragionamento dell'autore e sostengano il suo senso della storia.
Un altro esempio (p. 282) riguarda la presentazione delle cosiddette dimostrazioni algebro-geometriche. Il lettore abbia pazienza, ma non è possibile non entrare in questi dettagli (e se interessato al libro, qualcosa dovrebbe capire di matematica); se non lo fa, o non è in grado di farlo quando legge il libro, sappia che assorbirà quattrocento pagine di analoghe affermazioni false e sbagliate (due concetti diversi). In queste dimostrazioni una costruzione geometrica eseguita su una figura data mostra la soluzione cercata; un esempio tipico è offerto dal teorema di Pitagora, con un'opportuna scomposizione del quadrato costruito sull'ipotenusa, ma si possono dare numerosi esempi in cui addirittura la figura geometrica mostra la validità di una formula numerica.
Oggi queste dimostrazioni sono molto rivalutate nella didattica elementare, dove sono note come dimostrazioni "senza parole". Cellucci le propone come metodo alternativo alla logica, perché "si potrebbe pensare che il metodo della figura si applichi solo a problemi molto semplici, ma non è così". Per provarlo, considera il teorema di Jordan, che afferma che una curva chiusa semplice divide il piano in due regioni disgiunte e connesse (interno ed esterno), quindi disegna una curva tutta zig-zagante e spigolosa e afferma che "osservando la seguente figura il risultato è chiaro. Invece una dimostrazione discorsiva è tutt'altro che semplice", a conferma di quanto sostenuto dall'intuizionista Brouwer che denunciava i limiti a cui è soggetto il ragionamento in questo campo.
Maggiore impressione ancora avrebbe fatto se avesse spiegato che la dimostrazione del teorema non solo è tutt'altro che semplice, è difficilissima, lunga, complicata, ha richiesto, circa un secolo fa, anni e anni di sforzi ed errori e fallimenti per arrivarci. Ma il motivo non è la perversità del procedimento discorsivo, quanto il fatto che a differenza di triangoli e quadrati una curva semplice generale e generica non è disegnabile, né da Cellucci né da chiunque altro, per quanti ghirigori faccia. La difficoltà storicamente era dovuta al fatto che non c'era una definizione di curva; la dimostrazione del teorema di Jordan è stata laboriosa perché è stata una di quelle nel corso delle quali si precisano i concetti, ed è difficile ancora oggi perché, per quanto possa sembrare strano, non c'è ancora una definizione completamente soddisfacente e generale. Questa importante e istruttiva vicenda è del tutto oscurata e falsata se la si usa per proporre una contrapposizione tra il discorso logico e un metodo alternativo che "parte da un problema e risale a una figura che mostra le condizioni di risolubilità, senza rimandare a definizioni, assiomi o proposizioni già dimostrate". Ma per forza si rimanda alle definizioni, anche se non le si enuncia: il triangolo generico non è definito, ma è disegnato, e pur sempre con tre vertici; il teorema di Jordan non può essere semplificato perché non si possono fare costruzioni con riga e compasso su una figura indisegnabile. Il metodo della figura, quando è disponibile, coincide con quello discorsivo per la natura dei dati a cui si applica; non si può suggerirlo come modello, contrapponendolo alle nefandezze della logica (luoghi comuni alla moda ripetuti da varie parti e qui puntualmente ripresi).
L'autore soggiace alla filosofica illusione che debba esistere un metodo per fare la matematica, e siccome quello che lui crede di aver smascherato non va ne propone un altro, quello del filosofo Platone, che non si ferma agli assiomi ma continua all'indietro indefinitamente: "Back to Plato", sì, il Platone che lamentava l'invenzione della scrittura!
Un'altra filosofica illusione è che la scienza si diriga a tavolino prescrivendo paradigmi (si veda quanto dice Albert O. Hirschman in "La ricerca dei paradigmi come ostacolo alla comprensione" in "Come far passare le riforme", Il Mulino, 1990). Cellucci insiste con forza sul fatto che la logica ha bisogno di un nuovo paradigma diverso da quello della logica matematica; non definisce "paradigma", ma oggi quando si usa questa parola il pensiero non può che correre a Thomas Kuhn ("La struttura delle rivoluzioni scientifiche", Einaudi, 1969). I paradigmi non sono manifesti programmatici da imporre con la propaganda, sono scoperte o risultati scientifici importanti che per il loro carattere esemplare si propongono come modelli, delimitando il campo dei problemi analoghi affrontabili e dei metodi e delle soluzioni accettabili. La logica matematica nel corso della sua storia ha vissuto cambiamenti di paradigmi, il più clamoroso è legato al nome di Gödel. I suoi teoremi hanno risolto problemi pressanti indicando, con le tecniche adottate, nuovi metodi e impostazioni. Cellucci li cita spesso come se dovessero distruggere il paradigma di Frege (che non è mai stato un paradigma) senza mai riflettere sul fatto che sono risultati della logica matematica che hanno stabilito un nuovo paradigma. Paradigma che "à la" Kuhn ha influenzato il successivo percorso dei logici, che sulla falsariga di quello hanno risolto altre importanti questioni, come quella della decidibilità, hanno inventato i calcolatori, hanno affrontato le connesse tematiche della trattazione matematica dei linguaggi, si sono trasferiti in massa nei dipartimenti di informatica, hanno fatto insomma quello che Cellucci dice che dovrebbero incominciare a fare dopo aver appreso nel suo libro il nuovo paradigma risalente a Platone.

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