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In un tempo storico come quello che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, dove la violenza e la sopraffazione si mostrano in tutte le loro forme – quelle più evidenti e purtroppo longeve come il terrorismo, ma anche quelle più subdole e nascoste che fanno capo al rapporto quotidiano tra gli uomini –, la ripubblicazione in una veste nuova e aggiornata dei saggi di Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, sempre per le edizioni ETS e con la cura di Mario Martini, si impone come momento importante e assai prezioso di riflessione. Gli spunti e gli obiettivi di cui Capitini dissemina i suoi scritti, risultano infatti imprescindibili per comprendere la realtà e, soprattutto, per tentare un’azione nei confronti di essa, fattore questo che manca nei libri di molti contemporanei pensatori non interessati a coniugare spirito e azione. Gli scritti del padre delle pratiche di nonviolenza in Italia sono una via alternativa alla deriva odierna; l’organizzazione dei testi nella loro divisione in capitoli mostra chiaramente, attraverso la riproposizione di alcune delle tappe più significative del suo pensiero, la genesi e lo sviluppo della riflessione di Capitini e lo fa rendendo facilmente fruibile questo processo al lettore.
Il testo, dopo l’accurata e puntuale introduzione di Martini, si apre con quelle che vengono definite le Premesse teoriche, cioè i fondamenti teorici dei principi della non violenza, che rimandano all’opera Elementi di un’esperienza religiosa. In quel testo del 1937, pubblicato per Laterza grazie all’intervento di Benedetto Croce e di cui qui si riportano delle parti, Capitini definisce il suo pensiero come legato a una «prassi pura», cioè una pratica che realizza «un'intenzione retta che discende da un’adesione incondizionata alla verità». È questo il carattere teorico che risalta maggiormente soprattutto se, come detto, lo si confronta con le situazioni odierne, dove il contatto con la realtà è sempre più leggero e sfumato, portando molto spesso la speculazione su un piano esclusivamente teorico e quindi inutile all’interno di un discorso più ampio che tenti di metterlo in pratica.
Se quindi la prima parte è tesa alla definizione della nonviolenza e alla riflessione sulle pratiche necessarie al suo status, nella seconda parte i testi di Capitini allargano il loro orizzonte e vanno a mostrare come un comportamento e uno spirito nonviolento possano permettere un sodalizio proficuo con gli animali e la natura. L’andamento di questi testi ricorda in alcuni passaggi i testi di Anna Maria Ortese (e perché no, valutata anche la matrice religiosa, anche alcuni passaggi dell’enciclica Laudato sii di Papa Francesco) raccolti nel recente volume a cura di Angela Borghesi, Le piccole persone, soprattutto per quanto riguarda gli atteggiamenti attraverso cui l’uomo deve confrontarsi con il creato. Frasi come «un primo lavoro da fare è di togliere tutte le crudeltà e le uccisioni inutili, se si vuole tener fede al principio di estendere l’unità anche con gli esseri subumani», oppure, parlando direttamente ad una pianta, «io non ti distruggerò; tu non sei per me un oggetto, uno strumento freddo, ma sei una compagnia, una presenza, un essere che ha in sé un soffio e un’apertura all'aria, alla luce, simile a quelli che ho anch’io», sono riflessioni che raccolgono la stessa tensione universale che si respira nelle pagine di Ortese quando parla di rispetto verso l’«animale», non restringendo il campo solo al significato più diretto del termine, ma allargandolo a tutto lo spettro della vita sulla Terra, dagli uomini fino alla natura, passando appunto per gli animali.
In questa sezione si segnala anche lo scritto La nonviolenza è amore, dove si trova una delle più precise e semplici definizioni della nonviolenza, spogliata, ma solo apparentemente, dal suo carattere filosofico e religioso: «essa è la scelta – scrive Capitini – di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani»; oppure la breve sezione Trionfano i cattivi?, in cui si riflette sulla possibile obiezione all’agire nonviolento e cioè che, senza la violenza appunto, i cattivi trionfino: Capitini scrive che innanzitutto anche «l’uso della violenza non ci dà sufficiente garanzia che trionfino i buoni, perché l’uso della violenza richiede che si facciano tanti compromessi» e poi, poco dopo, che «se per tenere testa ai cattivi, bisogna prendere tanti dei loro modi, all’ultimo realmente è la cattiveria che vince» e che, così, «scompare la differenza tra noi e loro, e c’è bisogno che sorga una differenza netta tra chi usa le armi potenti, e chi usa altri modi, con fede che essi trasformino il mondo».
Una tale visione del mondo, e degli atteggiamenti che l’uomo deve tenere nei suoi confronti, si ritrova anche nell’attività accademica di Capitini, nelle sue dispense, una cui scelta viene pubblicata per la prima volta quest’anno dalla casa editrice La Scuola, in un volume dal titolo Educazione, religione e nonviolenza, a cura di Livia Romano. Questi scritti, che coprono un periodo che va dal 1947 al 1967, anni intensi e segnati da un'instancabile militanza sociale e politica, mostrano un volto inedito di Capitini, mosso da una grande passione didattica che riflette la sua visione sull’educazione non come una semplice trasmissione dei saperi, ma come una pratica che coinvolge più soggetti, anche il maestro, in un percorso di crescita comune: «l’educazione moderna si svolge non soltanto lungo la linea di passaggio dal centro dell’educazione dall’educatore all’educando, ma anche lungo quella di una coscienza sempre più precisa dell’educarsi insieme».
Il volume di ETS si chiude con i documenti risalenti alla prima marcia della pace del 1961, con lo scritto Ragioni e organizzazione della Marcia: nella natura di questa marcia risiede un cambiamento fondamentale del linguaggio delle forme di partecipazione, come scrive Amoreno Martellini nella prefazione al volume Persone che marciano per la pace. Perugia-Assisi 24 settembre 1961, uscito sempre nel 2016 questa volta per le Edizioni dell’Asino, perché fu «un tentativo di entrare dentro il terreno della politica con una forma partecipativa ancora non sperimentata nel nostro paese». Questa marcia, ebbe modo di dire Capitini riferendosi alle classi popolari, «è fatta per loro, perché i contadini sanno camminare, mentre sono a disagio nelle conferenze». Il volume delle Edizioni dell’Asino si arricchisce poi delle testimonianze sulla prima marcia (con le voci di Norberto Bobbio, Guido Piovene, Pier Paolo Pasolini e Goffredo Fofi), delle reazioni della stampa e delle adesioni di protagonisti della scena politica e culturale italiana (da Nenni a Togliatti, da Rigoni Stern a Garin): documenti che riescono, nel loro insieme, a fermare e raccontare i significati e i risvolti più importanti della manifestazione.
Tre libri di Capitini usciti nel 2016 sembrano far presagire un ritorno importante sull’opera del pensatore; un ritorno segnato dalle attività di case editrici che sulla sua opera insistono molto, fiduciose nell’importanza del suo ruolo di educatore nonviolento in una contemporaneità che ne sente il bisogno.
Recensione di Matteo Moca.
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