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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2000
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recensione di Riera Rehren, J., L'Indice 1998, n. 5
Nella corte della Regina Elisabetta, leggendaria meretrice dei minatori del salnitro, spiccano personaggi come la Greta Garbo, la Ciarlatana, l'Ambulanza, la Due Punto Quattro, il poeta Accidenti, l'Astronauta, orgogliosi membri di una comunità di lavoratori e donne di vita che conobbe tempi migliori, ma che si trascina ormai senza futuro nella decadenza generale dell'economia mineraria delle pampas del nord cileno. Sono loro i protagonisti di questo sorprendente romanzo, il cui autore, lui stesso un minatore, appare dotato di una lingua possente e al tempo stesso raffinata e di uno sguardo complesso, pronto a cogliere la dimensione tragica ma anche inaspettatamente comica e fortemente ironica delle vicende di questa sua terra desolata.
Le caratteristiche dei personaggi, degli scenari, dell'autore, fanno di questo libro un evento abbastanza eccezionale nel panorama dell'ultima produzione narrativa ispanoamericana, dominata da tendenze più intimiste e autoreferenziali. Ma anche andando più indietro nel tempo, sono assai pochi gli scrittori che hanno osato misurarsi con le storie e le geografie del "norte grande": la "pampa salitrera" è uno spazio immenso e in apparenza vuoto, dove però hanno avuto luogo alcune delle epopee sociali più significative dell'intero continente sudamericano. Uno spazio, dunque, di enorme pienezza, del quale Rivera Letelier e il suo romanzo sono prodotto insolito e di pregevole valore letterario.
Non è facile per un lettore europeo immaginare le forme fisiche e il paesaggio umano in un tale scenario. L'autore ci trasmette una visione tra il realistico e l'allucinato surreale, perché anche lui sembra ogni tanto dubitare della materialità di ciò che gli sta intorno e dell'esistenza stessa dei suoi personaggi, ed esita ad avvicinarli troppo alle convenzioni del "realismo magico". Alla fine però si ha davvero l'impressione di aver respirato l'aria rarefatta degli altipiani e aver toccato con mano una delle grandi tragedie del Novecento latinoamericano.
Enclave produttrice di smisurate ricchezze che mai tornarono ad alleggerire anche di un solo peso le misere condizioni di vita dei produttori, le "oficinas salitreras" furono progressivamente abbandonate all'incuria e al vento del deserto a partire dagli anni trenta e quaranta, epoca in cui il salnitro cominciò a essere prodotto sinteticamente in Europa. Rimasero allora pochi centri in attività, ed è in questo presente che si svolgono i fatti che costituiscono l'argomento del romanzo. La parabola discendente coincide con la vecchiaia e la morte della Regina Elisabetta e delle sue indimenticabili compagne, amanti complici e consolatrici dei minatori, e percorre gli episodi commoventi e a volte grotteschi dell'amore, la solidarietà, la lotta contro la dissoluzione di una comunità ferita e quasi senza possibilità di riscatto; ma il racconto procede anche attraverso scatti di memoria che ci riportano alla lontana "belle époque" delle giovani cortigiane, compagne di vita e di illusioni di un proletariato minerario allora in crescita come corpo sociale e politico.
Racconta Luis Sepúlveda nella breve e intensa prefazione che, a una sua domanda sullo stile barocco e ricco d'invenzioni linguistiche di questo romanzo, Rivera Letelier rispose tra il serio e il faceto, e cioè da vero minatore, di aver immaginato fin dall'inizio questo libro come un poema "al modo di Omero". Pensiamo che per alcuni versi sia riuscito nell'impresa.
Non era invece impresa facile rendere nella traduzione l'atmosfera e le parole, i corpi e i sogni dell'umanità e inumanità di questi esseri condannati, sempre più chiusi in un mondo dove è palpabile l'impotenza del linguaggio. La versione in italiano ci riesce in gran parte, anche se qualche volta non è stato possibile evitare manovre di normalizzazione sintattica o lessicale, forse nell'intento di facilitare la lettura.
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