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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2021
Oh me, oh vita! Domande come queste mi perseguitano.
Infiniti cortei di infedeli, città gremite di stolti,
che v’è di buono in tutto questo?
Oh me, oh vita!
Risposta:
che tu sei qui, che la vita esiste e l’identità,
che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuire con un verso.
Quale sarà il tuo verso?
Così Robin Williams, nei panni del professor Keating, lanciava ai suoi studenti la dirompente sfida esistenziale che avrebbe segnato per sempre le loro vite. I versi non sono suoi, ma una citazione da Foglie d’erba di Walt Whitman, l’indiscusso poeta del Rinascimento americano. La sequenza è indimenticabile, come del resto l’intera pellicola: siamo nel 1989, il film è Dead Poets Society per la regia di Peter Weir.
E mentre il capitano de L’attimo fuggente declamava con autenticità quelle parole, a essere inquadrato era proprio lui, Ethan Hawke nei panni di Todd Anderson. Alla chiamata il giovane studente risponderà senza indugi, nella finzione come nella vita reale. E oggi, che di anni ne ha 50 (è nato il 6 novembre del 1970 a Austin, nel Texas), Hawke il suo verso l’ha decisamente trovato: conta 35 anni di carriera cinematografica (con oltre 70 film) come interprete, sceneggiatore e regista. Ma forse non tutti sanno che il pluripremiato attore è anche uno scrittore.
In Italia finora sono usciti due suoi romanzi (Amore giovane, 1996 e Mercoledì delle Ceneri, 2002) e una graphic novel (Indeh, 2016) a cui, dallo scorso novembre, si aggiunge Le regole del cavaliere (192 pagine, 16,90 euro), pubblicato dalla casa editrice Sonda nella traduzione dall’inglese di Francesco Paolo Ferrotti.
Un libro, come dichiarato dall’autore al «New Yorker», nato in famiglia. «Mia moglie stava leggendo un manuale sulla genitorialità che parlava del valore delle regole … E si inizia con le banalità, come andare a letto alle otto, insomma quel genere di cose. E poi, inevitabilmente, ti chiedi, beh, in cosa crediamo veramente?» Hawke, padre di tre figlie e un figlio, ha così sentito la necessità di condividere alcune riflessioni sull’essere genitore iniziando a compilare una sorta di decalogo. Ma il testo si è ben presto ampliato arrivando ad assumere la forma di un libro in venti capitoli, ciascuno dedicato a una regola-virtù per diventare “cavaliere”, ma facilmente adattabile a ogni «aspirante dama» (che sa e vuole andare a cavallo).
L’opera prende avvio dal classico espediente letterario (un po’ abusato, ma sempre efficace) del ritrovamento da parte dell’autore di un antico manoscritto redatto in lingua cornica da un suo antenato, Sir Thomas Lemuel Hawke. Siamo nell’inverno del 1483, alla vigilia della battaglia campale di Slaughter Bridge, in cui il cavaliere teme di perdere la vita. Decide così di lasciare come preziosa eredità ai suoi figli un lungo racconto epistolare: semplici ma fondamentali insegnamenti si alternano a episodi di vita vera.
A emergere è la figura del nonno, anche lui cavaliere, possente e dignitoso «dai saggi occhi azzurri», di cui sir Thomas diventerà giovane scudiero. L’apprendistato presso quest’uomo – la cui «vistosa fessura sugli incisivi superiori» non impediva un «sorriso gentile» – sarà decisivo per la sua formazione. «Gli piaceva parlare così mentre cavalcavamo», ricorda l’autore della missiva, «quasi insegnando la lezione a se stesso mentre la insegnava a me».
Dei venti precetti tramandati in casa Hawke (con l’aiuto di tanti maestri del pensiero occidentale e orientale, ricordati alla fine del libro), almeno quattro sembrano scritti apposta per affrontare questi tempi non facili, tra pandemia e confinamento. Forse perché tra i meno scontati e più sinceri, quindi sempre validi. E capaci di parlare a tutti coloro che si sentono ancora “in formazione”. Iniziamo così.
Solitudine
La prima virtù da coltivare per un cavaliere. E già questo sorprende. Sì, la solitudine è un’emozione che tendiamo a rimuovere e giudicare negativamente, ma di cui abbiamo fatto inevitabilmente esperienza nel corso di questo ultimo anno. Sir Thomas, nel lontano1483, suggeriva:«la voce del nostro spirito è una voce garbata, che non può essere udita quando si trova a dover competere con le altre».
Grazia
Fatichiamo spesso a comprenderne il senso. E quindi il valore. «La grazia è la capacità di accogliere il cambiamento», sentenzia l’avo di Hawke. E ci sembra teoria. Però poi, come conviene a un cavaliere, si fa concreto e con una parabola tutta da leggere convince: la grazia non va capita, ma solo riconosciuta. E solo allora, anche se per un istante, le parole di Sir Richard – migliore amico di Thomas – sembrano rivolte proprio a noi: «Credo che sarete molto felici di vivere qui».
Fede
«Devo confessarlo, nutro il timore di non potervi più rivedere» confida sir Thomas ai quattro figli. È solo in frangenti come questi che si può avere fede? E cosa significa? Non ci sono risposte. Nel sorgere di ogni vita c’è qualcosa di selvaggio e profondo, misterioso e inconoscibile. Ma non fermatevi mai e «ponetevi domande difficili», esorta il cavaliere. Con una consapevolezza però, che «camminare sulla terra è già un miracolo sufficiente».
Morte
Sir Thomas ci tiene a far sapere che anche un uomo saggio come il nonno, di fronte all’estremo passo, ha avuto paura. Stupisce? No, conferma ulteriormente la sua “perfetta” umanità. E così, abbandonata la sua armatura davanti all’oceano, l’anziano cavaliere «si ricordò che non era l’unico a morire. C’erano tanti altri che stavano morendo nello stesso istante; e c’erano tanti altri che nascevano. Non era solo».
Il libro non finisce qui, ma in versi, con La ballata del Cervo Rosso a quarantaquattro punte. E si torna inevitabilmente in classe con il professor Keating per comprendere che solo la musicalità della parola poetica è in grado di giungere al cuore ed esprimere, nel modo più profondo, «le cose che davvero ci tengono in vita». Ethan Hawke non poteva che imparare la lezione:
Questa è una vecchia storia, antica come il tempo,
È una fiaba che la terra ha espresso con il verso.
Come le fasi della luna, o il sorgere del sole,
O il flusso del mare. La sua saggezza non muore.
Recensione di Mariachiara Mazzariol
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