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Anno edizione: 2022
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Partire e restare sono i due poli della storia dell'umanità. Al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e di se stessi. Restanza significa sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente.
La «restanza» è un fenomeno del presente che riguarda la necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. È questo un tempo segnato dalle migrazioni, ma è anche il tempo, piú silenzioso, di chi "resta" nel suo luogo di origine e lo vive, lo cammina, lo interpreta, in una vertigine continua di cambiamenti. La pandemia, l'emergenza climatica, le grandi migrazioni sembra stiano modificando il nostro rapporto con il corpo, con lo spazio, con la morte, con gli altri, e pongono l'esigenza di immaginare nuove comunità, impongono a chi parte e a chi resta nuove pratiche dell'abitare. Sono oggi molte le narrazioni, spesso retoriche e senza profondità, che idealizzano la vita nei piccoli paesi, rimuovendone, insieme alla durezza, le pratiche di memoria e di speranza di chi ha voluto o ha dovuto rimanere. La restanza non riguarda soltanto i piccoli paesi, ma anche le città, le metropoli, le periferie. Se problematicamente assunta, non è una scelta di comodo o attesa di qualcosa, né apatia, né vocazione a contemplare la fine dei luoghi, ma è un processo dinamico e creativo, conflittuale, ma potenzialmente rigenerativo tanto del luogo abitato, quanto per coloro che restano ad abitarlo.
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“Restanza significa sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo rigenerare radicalmente”. Essa è un movimento, un orizzonte valoriale e nel contempo un sentimento contrapposto a quello dell’ erranza, parimenti radicato e perpetuo in ogni essere umano. La restanza si sviluppa nello spazio e nel tempo, attraverso la percezione, la cura, il sentire. Tanto l’ andare, quanto il restare, presuppongono un continuo essere in cammino, mai indifferenti, sempre aperti all’ altro ed all’ altrove. Conosco bene l’impulso all’ andare ed ancor meglio quello al restare. Tra queste pagine ho apprezzato la completa assenza di rassegnazione, di visione idilliaca, d’ immobilismo, che spesso si percepiscono, quando si riflette sul permanere. Lo slancio è quello a rigenerare, riallacciare, ripianificare con il cuore: mai prefisso reiterativo fu più necessario, più utile ad impersonare l’inserirsi nel eterno ciclo vitale delle storie, dei luoghi insieme allo slancio verso il futuro. L’ obiettivo è quello di concepirsi incessantemente dentro e fuori da sé “per iscrivere la propria piccola patria nel cuore del mondo”.
Un saggio sulla "restanza", neologismo che indica il complesso di sentimenti che risiedono in chi decide di rimanere a vivere in un luogo, solitamente un paesino, in controtendenza rispetto a chi lo abbandona, per cercare fortuna altrove. Il testo analizza il valore delle piccole comunità, che è soprattutto immateriale, affettivo, antropologico. Spero che tanti, soprattutto i nostri politici, leggano questo meraviglioso testo, che offre una speranza e una chiave di ricatto, nel desolato quadro dello spopolamento dei piccoli borghi italiani. Incentivare il lavoro a distanza, creare politiche occupazionali decentrate, anziché concentrare tutto nelle grandi città, può essere la chiave per salvare le piccole comunità.
Bel libro del prof Teti, che è un cultore della materia, da leggere e soprattutto, riflettere sopra con la dovuta calma
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